Kabul addio: ora il governo inizia a pensare al ritiro

«Sull’Afghanistan m’ero imputato», ha esordito Clemente Mastella durante la festa dell’Udeur, a Telese, per poi spiegare: «vista la mole del nostro impegno in Libano, diminuire le truppe in Afghanistan, non sarebbe un atto irresponsabile. E non verrebbe meno all’impegno assunto con l’Onu».
Quello ventilato da Mastella potrebbe essere un ritiro «simbolico». Lasciare in Afghanistan poco meno di un migliaio di soldati, perché comunque, quella a Kabul, sebbene gestita dalla Nato, è comunque una missione Onu. E vede coinvolti ben 35 paesi. Di certo, però, nell’Unione se ne discute. E la dichiarazione del ministro della giustizia, Clemente Mastella, non è solo una provocazione. Una posizione che accende gli animi della sinistra più radicale, che da tempo s’è attestata su questa posizione, e innervosisce il ministro della Difesa, Arturo Parisi, che preferirebbe godersi il successo italiano nella trattativa internazionale sulla missione in Libano. Invece gli tocca replicare a Mastella.
«Si tratta di due vicende del tutto distinte», risponde Parisi. Che aggiunge: «Va ricordato che i nostri contingenti, con la fine dell’intervento in Iraq, che avverrà alla fine dell’anno, già vedono ridotto il loro impegno». Ma il ritiro dall’Afghanistan non sarebbe un’«eresia», volendo usare il linguaggio di Mastella: «Nel momento in cui siamo fortemente impegnati in Libano, ridiscutere la nostra missione in Afghanistan, con una presenza così massiccia, non è un’eresia internazionale. Copertura dell’Onu là e copertura dell’Onu in Libano: non darei tratti ideologici a una minore presenza in Afghanistan. La vedrei in maniera positiva: lo dico sia dal punto di vista dei costi, sia dei rischi, visto che ora si gioca su uno scacchiere più ampio». A dargli mano forte c’è il ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero (Prc), che dopo il consiglio dei ministri dice: ««Il forte impegno economico che impone la missione italiana in Libano rende ancora più urgente che si definiscano i tempi di un nostro ritiro dall’ Afghanistan».
Al di là dei costi, però, c’è anche un importante significato politico: «È importante che l’ipotesi di ridurre l’impegno italiano in Afghanistan si allarghi a voci che non provengono dall’ala sinistra della coalizione, come quella di Clemente Mastella», commenta il capogruppo del Prc al Senato Giovanni Russo Spena, spiegando che, ben oltre i motivi economici, esistono anche motivi di opportunità politica. «Oggi l’Italia può giocare un ruolo essenziale: non solo nel conflitto tra Israele e Libano, ma anche in quello israelo-palestinese, e nella trattativa con l’Iran. Ma è fondamentale la nostra credibilità agli occhi dei paesi e delle masse islamiche: la missione Nato in Afghanistan non è certo la miglior credenziale». Per il ministro dell’ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, «ridurre l’impegno in Afghanistan è doveroso».
D’accordo con Parisi, invece, il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri, che sottolinea: «Andar via da Kabul sarebbe sbagliato sotto il profilo politico: solo con l’aiuto della comunità internazionale, e stabilizzando il legittimo governo di Karzaj, in Afghanistan si potrà realizzare una ricostruzione civile e istituzionale». Contrario anche il ministro per le infrastrutture, Antonio Di Pietro, che si attesta sulla linea del ministero della Difesa: «Si tratta di due missioni distinte e differenti: in Libano bisogna andare indipendentemente dagli impegni che abbiamo preso in Afghanistan».
Sembrerebbe, quindi, che in seno al governo si stia profilando uno scontro. In realtà, però, da tempo è stata avviata una trattativa: da quando i «dissidenti» al senato costrinsero il governo a chiedere la fiducia, proprio sul rifinanziamento della missione. Un rischio che nessuno, nel governo, vuole affrontare nuovamente.
La trattativa, avvalorata dall’improvviso blitz di Mastella, taglierebbe la testa al toro: il rifinanziamento delle missione infatti, passerebbe da un singolo, semestrale disegno di legge, a un capitolo della legge finanziaria. Risultato: innanzitutto, discutere i rifinanziamenti solo una volta l’anno. Inoltre, agganciato alla finanziaria, con l’eventuale ricorso alla «fiducia», il provvedimento risulterebbero blindato. Il confronto nella maggioranza resta teso : se mancasse la necessaria diplomazia, i «dissidenti», piuttosto che scomparire, potrebbero aumentare.