Joseph Beuys, le sue opere negli scatti di Claudio Abate

Chi si trovasse nella condizione di poterlo fare, fino alla fine di giugno presso la Galleria dell’Oca di Roma, potrebbe in una sola volta conoscere la straordinaria abilità-sensibilità di un artista-fotografo di fama internazionale, come Claudio Abate, e il genio di uno dei massimi artisti internazionali del secolo scorso, Joseph Beuys. Si tratta di 15 scatti realizzati dal fotografo nel 1986, anno della morte del grande artista tedesco, che ritraggono anzi “ri-creano” le opere di questo autore esposte a Darmstadt. Le immagini sono le stesse confluite nel libro intitolato Joseph Beuys. Block Beuys (Shirmer e Mosel), uscito nel 1990 e stampate per questa occasione in grande formato.
Usiamo non a caso l’espressione “ri-creano” perché le immagini di Abate in alcun modo possono essere considerate delle semplici riproduzioni. Semmai sono delle letture personali fatte per via di luce e di tecnica fotografica. Fatte col cuore oltre che con la testa e l’esperienza. E’ una cosa che si può capire pensando ai traduttori più ispirati dei grandi poeti o al Pavese che traduceva i classici della letteratura americana. Solo un artista capisce sino in fondo un artista. Così un bravo traduttore non può non essere scrittore e poeta.

«Beuys a Darmstadt dispose le opere nel museo con pochissimo spazio fra l’una e l’altra, come se volesse renderle inaccessibili ai fotografi. Ma io sono entrato lo stesso tra i corridoi angusti che dividono le teche. E ho cercato la massima precisione nella definizione di quei lavori» dice il fotografo romano cui già la Biennale di Venezia del ’93 e, successivamente, il Macro e Villa Medici hanno riservato occasioni espositive di grande prestigio. Il risultato è emozionante: i colori caldi e l’azione scultorea e analitica della luce stacca dall’ambiente le opere e ce le consegna come pure, platoniche idee. Accade per la sedia col blocco di grasso spalmato sopra (Sthul mit Fett), per i corni “nutriti” da tubicini di caucciù simili ad arterie (Die Corner), e per la batteria di Alta tensione. Accade per tutte le altre immagini.

Per chi non conoscesse Beuys, si tratta di un viatico. Della migliore conferenza per immagini introduttiva al suo lavoro. Le immagini a volte rendono la parola debole. Ecco perché le parole come la luce e le ombre, come i colori, bisognerebbe sceglierle e pesarle, cambiarle se non vanno, e collocarle al posto giusto con la giusta musicalità. Di tutto questo, ci pare, si è perso il gusto.

Questa conferenza per immagini ci introduce comunque nella galleria dell’Oca alla conoscenza più profonda di una grande personaggio. Joseph Beuys nacque nel 1921 a Krefeld in Germania, crebbe nelle campagne del basso Reno e fu allevato in un ambiente cattolico praticante. Durante la seconda guerra mondiale fu pilota dell’aviazione tedesca, colpito in volo, cadde e rischiò di morire assiderato per la lunga permanenza, ferito, nella neve. Lo salvò una tribù di tartari nomadi che lo trovò agonizzante in stato di avanzata ipotermia. Il suo corpo fu ricoperto di grasso e di coperte militari per contrastare l’incipiente congelamento; il successivo trasferimento in un ospedale militare gli consentì di salvare la pelle.

Questi eventi segnarono profondamente la sua vita e il suo lavoro che sarà fortemente “impressionato” dai ricordi del drammatico salvataggio e dell’amorevole assistenza ricevuta; rimarranno per sempre nella sua ricerca alcuni rimandi simbolici che richiameranno alla mente quegli accadimenti: il grasso, i feltri, le simbologie sanitarie e militari. Seguiranno le letture di Leonardo, Galileo, Paracelso, Joyce, l’amore per la teosofia steineriana che lo formeranno, innestandosi su una cultura romantica tipicamente tedesca. Maturerà in lui una concezione dell’arte intesa come sistema universale autoterapeutico, fortemente impregnato di valenze antiautoritarie, pacifiste, sociali ed ecologiste.

Rimase celebre una sua azione (la performance attraverso l’uso del proprio corpo come strumento di comunicazione artistica è stata una sua caratteristica peculiare) tenutasi a New York nel 1974. In quell’occasione si fece rinchiudere in una gabbia con un coyote, sin quando convinse l’animale a sdraiarsi mansueto al suo fianco. Sciamanesimo, spiritualità panica ed ecologista, naturale disposizione al magistero di virtù sociali e naturali ma anche forte apertura alla solidarietà politica con le lotte degli studenti queste furono alcune delle caratteristiche del suo profilo umano ed intellettuale e del suo comportamento, che corrispose in buona sostanza alla sua arte.

Come quando, ad esempio, difese e promosse una grande piantagione d’alberi in occasione di Documenta 7 nel 1982. Beuys mise sé stesso e il suo corpo a disposizione di una predicazione poetica realizzata in favore dell’umanità e in difesa della natura. Immancabile, calcato sulla testa sino agli occhi, sarà il suo cappello di feltro. Disse una volta: «Volevo trasformarmi in una specie di essere naturale. Volevo le stesse cose: come un coniglio ha le orecchie, io volevo avere un cappello. Un coniglio non è un coniglio senza le orecchie, allora ho pensato: Beuys non è Beuys senza il cappello!».

Le foto di Abate, attraverso le immagini delle sue opere, raccontano Beuys, e il suo cappello.