Un’ossessione. Una delle tante che pervadono gli Usa e sulle quali si avvitano funzionari di polizia, agenti segreti, politici. L’ultima a salire in superficie è quella dell’Fbi nei confronti di John Lennon; da qui schedari riempiti a dismisura, pagine su pagine, indagini su indagini, in particolare nel periodo ’71-’72. E alla fine, non arrivare a nulla. È proprio di ieri la notizia che Jon Wiener, professore di storia alla University of California, innamoratissimo dei Beatles, ha vinto una lunga e snervante causa contro il governo degli Stati Uniti arrivando a farsi consegnare tutti i file riguardanti John Lennon e le sue presunte attività sovversive, in Gran Bretagna e negli Usa. Subito dopo l’assassinio dell’artista, l’8 dicembre dell’80, Wiener decide di dedicargli un libro. È meticoloso e chiede all’Fbi di poter visionare i documenti relativi al musicista; gli viene risposto che non rientrano nell’ambito della legge sulla libertà di informazione e che contengono notizie altamente sensibili. Quindi niente. Ma Wiener non si arrende e nel ’97 i suoi legali costringono l’Fbi a consegnare un primo, cospicuo numero di file. Mancano, però, dieci pagine, dieci piccole pagine.
Wiener insiste, e alla fine ha vinto. Gli Usa sostenevano che un governo straniero – di cui non facevano il nome – avesse fornito indicazioni su forti legami di John Lennon con rivoluzionari e pacifisti londinesi. Se quei documenti fossero apparsi, gli Usa avrebbero potuto subire rilevanti contraccolpi politici e economici. Il governo in questione è ovviamente quello di Tony Blair ma in quei documenti non c’è nulla. Non esiste alcun indizio che possa far considerare John Lennon una seria minaccia. L’Fbi – che lo teneva d’occhio – si limitava a rilevare che due comunisti inglesi avevano chiesto a Lennon finanziamenti per una libreria a Londra, ma non avevano ottenuto nulla. In un’altra pagina si leggeva, invece, che «non esistono prove certe che John Lennon abbia finanziato gruppi sovversivi». Una bolla di sapone, dietro cui si intravede più una paura «di relazione» da parte degli Usa nei confronti della Gran Bretagna che un serio timore per il «soggetto Lennon». Lo stesso Wiener ha dichiarato al Los Angeles Times: «Ora si capisce come siano state assurde le scuse addotte finora. Da 25 anni parlavano di sicurezza nazionale». La vicenda delle schede Fbi sui «personaggi famosi» è una storia nota, affiora nel 2005 e fa il giro di Internet. In quell’anno la consueta spettacolarizzazione Usa dell’esistenza e la trasparenza imposta nel paese dalla legge sulla libertà di informazione, inducono l’Fbi a pubblicare online pagine e pagine finora secretate. Il sito http://foia.fbi.gov/famous.htm lascia a bocca aperta. Da Sinatra a Elvis, da Jim Morrison a Pablo Picasso, da John F. Kennedy a Malcolm X ce n’è per tutti. Con apposite finestre, nelle singole pagine dedicate, in cui si spiega perché quel nome era sotto sorveglianza. Si apprende così che Sinatra era indagato perché «socializzava con figure del crimine organizzato», oppure che Elvis era controllato perché soggetto a ricatti e estorsioni da parte di un finto medico omosessuale innamorato del cantante. La parte su Lennon recita: «Indagine condotta dopo che l’Fbi apprese che l’artista aveva donato 75 mila dollari a un gruppo sovversivo che nel 1972 voleva far fallire la convention nazionale repubblicana». Mancavano, però, quelle ultime, piccole, dieci pagine. Di cui tutti potevamo fare a meno. Anche il povero Lennon.