«Non pensavamo certo che Israele avrebbe risposto in questo modoalla cattura dei due soldati – come ha detto ieri mattina il nostro segretario Hassan Nasrallah alla New Tv – dal momento che il nostro obiettivo era di fare pressioni su Israele perché rilasciasse i prigionieri libanesi nelle sue carceri. Se l’avessimo immaginato non l’avremmo fatto anche se da una serie di indagini sia nostre che delle autorità libanesi in realtà risulta che Israele aveva già attivato i suoi uomini in Libano ed era pronta ad attaccarci tra la fine di settembre e i primi di ottobre. L’entità di queste distruzioni comunque può meravigliare solamente chi ha dimenticato quel che fece Israele nel 1982 e cosa fa ogni giorno in Palestina. Con il passare dei giorni la ferocia dei bombardamenti è stata direttamente proporzionale ai loro insuccessi sul terreno. Pensavano che in tal modo si sarebbe incrinato il rapporto tra il popolo e gli Hezbollah. Invece è successo il contrario».
Haj Hassan Hudrush, membro dell’Ufficio politico del movimento Hezbollah, da sempre vicino alla causa palestinese – giovanissimo partecipò alla strenua difesa del campo di Tal al Zaatar dov’è nato- è in questi giorni per le strade del quartiere di Haret Hreik, in gran parte ridotto in macerie, per dirigere la distribuzione degli aiuti e i primi passi della ricostruzione. Ci accoglie sotto una grande tenda non nascondendo la sua soddisfazione per come la resistenza libanese, fermando per 33 giorni l’avanzata israeliana, abbia ridato fiato alla politica e alla diplomazia e, così facendo, non solo sia riuscita a sopravvivere ma anche a riacquistare un ruolo centrale nella vita politica del paese e a livello internazionale.
Come giudica la risoluzione 1701 e la decisione di inviare forze multinazionali nel sud del Libano?
Il governo di Beirut, del quale facciamo parte con due ministri, ha espresso la sua determinazione a collaborare con la missione Unifil che ha il compito di aiutare l’esercito libanese a dispiegarsi nel sud e di sorvegliare il confine tra il Libano e la Palestina. Il problema è semmai costituito dalle continue violazioni israeliane della tregua e dal tentativo di Tel Aviv – sostenuto dagli Usa – di metterci quel che non c’è come il disarmo degli Hezbollah e il dispiegamento delle truppe Onu anche lungo il confine con la Siria. Israele continua con i suoi raid, il blocco aereo e navale e ancora non si è ritirata dai territori occupati. In ogni caso non abbiamo risposto e non abbiamo intenzione di rispondere a nessuna loro provocazione e faremo di tutto per astenerci da qualsiasi azione che possa mettere in difficoltà l’esercito libanese».
Queste pressioni potrebbero spingere l’Unifil a scontrarsi con gli Hezbollah?
La risoluzione 1701 si limita ad assegnare all’esercito libanese e alle forze internazionali che ne dovrebbero sostenere l’azione il compito di prevenire una nuova guerra sul confine e la ripresa di attività militari nel sud del Libano. Questo paragrafo non ci preoccupa perché quando l’aggressione sarà terminata e il ritiro israeliano completato, non ci saranno più attività militari pubbliche. Se non c’è occupazione non ci sarà resistenza. Ovviamente resteremo a sud del fiume Litani ma non mostreremo le nostre armi. I combattenti degli Hezbollah sono originari del sud del Libano e non sono altro che i giovani che le forze dell’Unifil incontreranno, non con le armi, ma al lavoro nei campi o che li saluteranno seduti al bar a prendersi un caffè. In questi giorni ci sono i funerali dei caduti nei villaggi del sud e potete vedere che in realtà a difendere il Libano è stato un popolo in armi, non un esercito o una milizia. E se hanno combattuto con così grande determinazione è stato anche perché stavano difendendo le loro case. Purtroppo è proprio questa la ragione per la quale gli Usa hanno dato ad Isaele 33 giorni di impunità assoluta: non possono tollerare che la gente normale prenda le armi per difendere la propria terra, la sua libertà, in Libano come in Palestina o in Iraq e che per di più riesca a fermare un esercito come quello israeliano. Colpendo il Libano hanno cercato di distruggere l’idea che il popolo possa organizzarsi, resistere e ottenere quel che decine di risoluzioni dell’Onu e di operazioni di peace-keeping e decenni di trattative non sono mai riusciti a dargli.
Quale futuro per le fattorie di Sheba occupate da Israele?
Il problema resta ancora senza risposta. Nella risoluzione vi è un paragrafo nel quale si accenna ad una possibile soluzione internazionale e noi aspettiamo di vedere che risultati ci saranno. In ogni caso la loro liberazione resta uno dei nostri obiettivi.
La resistenza quindi continuerà…
Certamente. Non vi sarà alcun disarmo finché Israele non lascerà tutti i territori occupati libanesi, sia di quelli dell’ultima guerra che delle fattorie di Sheba, finché sarà necessario difendere il Libano dalle aggressioni israeliane, e finché non saranno stati liberati i prigionieri nelle carceri israeliane. Resistere non è tanto una scelta quanto una necessità e su questo tutti i libanesi sono d’accordo.
Non temete che possano sorgere problemi con le truppe Onu, anche italiane?
L’attuazione della risoluzione è compito del governo libanese e dell’esercito libanese e non di altri. La missione Unifil non ha il compito di disarmare la resistenza e quindi se le truppe si atterranno al mandato ricevuto non dovrebbero esserci problemi. Le giudicheremo da come si comporteranno. Per ora salutiamo l’arrivo delle nuove forze Onu e valutiamo molto positivamente il ruolo dell’Italia durante il conflitto. E’ nostra intenzione mantenere questi buoni rapporti con il governo e il popolo italiano, perché hanno mostrato di capire la nostra situazione. Forse perché anche voi avete resistito con le armi all’occupazione straniera.
La pausa pranzo è finita. Gli enormi bulldozer si rimettono in moto e Haj Hassan Hudrush, dopo averci salutato con un affetuoso e ironico «Italy, Welcome in Lebanon», sparisce con i suoi uomini in una nuvola di polvere.