Non c’è conflitto negli ultimi anni a cui l’Italia non abbia attivamente partecipato, fornendo sostegno militare e logistico alle armate statunitensi e dei propri alleati impegnate nella “guerra permanente al terrorismo”. Quella in corso in Libano non fa eccezione. Lo rivela Il Manifesto di oggi, con un prezioso articolo a firma di Manlio Dinucci: come scritto dal New York Times del 22 luglio, il governo americano sta inviando al proprio alleato Israele armamenti militari per 2,5 miliardi di dollari, tra cui le terribili bombe Gbu-28. Ebbene, le armi passeranno dalla base italiana di Camp Darby, come stabilito dalla legge n. 94 del 17 maggio 2005, che vara la cooperazione militare tra il nostro paese e Israele.
Questa notizia, proprio mentre il governo Prodi festeggia la convocazione a Roma della Conferenza di Pace prevista per mercoledì, getta fosche ombre sul ruolo del nostro paese e sulla presunta “discontinuità” con la politica guerrafondaia della destra al potere fino a pochi mesi fa.
La Conferenza di Roma, salutata anche dal premier Prodi come un “premio per gli sforzi di pace del nostro paese”, ci sembra chiaro, nasce debole: il segretario di Stato Rice ha già decisamente smentito la
richiesta proveniente dall’Onu di un cessate il fuoco immediato,
dichiarando che l’attuale conflitto è “un passo verso la pace”.
Dal governo statunitense, che produce le bombe e gli aerei che svolgono le loro missioni di morte in territorio libanese, giunge un sostegno incondizionato ad Israele. Mentre nessuna voce sarà data né al governo palestinese, che dall’Europa a cui guarda il duo D’Alema-Prodi non ha ricevuto alcun sostegno, né a Iran e Siria, che sono unanimemente riconosciute come sostenitrici degli Hezbollah. D’altro canto il governo di Tel Aviv, troppo impegnato a portare a termine la propria missione, si guarderà bene dall’inviare un proprio rappresentante nella città eterna. Il rischio è che la conferenza si concluda con la formalizzazione di una fascia di sicurezza che intanto Israele, pronta all’invasione terrestre, avrà già occupato.
Proprio nei giorni in cui infuria la polemica politica sul rifinanziamento della missione in Afghanistan, non possiamo non accorgerci che la cosiddetta svolta in politica estera del governo italiano è ancora solo un’ipotesi lontana.
Alle forze del movimento pacifista, ai partiti e associazioni della sinistra che in passato erano stati in grado di rappresentare quella maggioranza del paese contraria ad ogni guerra, spetterà il compito di invertire realmente questa tendenza.
E’ questo un compito che ci sentiamo in dovere di portare avanti.