Italia e Europa nella tenaglia del gas

L’accordo siglato giovedì sera tra Gazprom, Lukoil e l’algerina Sonatrach rischia di essere la premessa per un nuovo cartello energetico: l’Opec del gas. Le conseguenze rischiano di essere nefaste per l’Europa che importa da Russia e Algeria il 60% del gas che brucia e soprattutto per l’Italia che ne dipende per il 70%. Non a caso Umberto Carpi consigliere di Bersani per le questioni petrolifere ha parlato di rischio «tenaglia» per l’Italia e gli altri paesi europei.
Il problema principale è che i paesi sviluppati bruciano energia al di sopra di quanto dovrebbero. Ogni cittadino statunitense consuma 26 barile di petrolio l’anno; ogni europeo 12; un cinese 1,5, un indiano 3. E’ stato proprio l’affacciarsi dei paesi di nuova industrializzazione a sconvolgere l’ordine costituito. La crescita della domanda di Cine e India ha messo in fibrillazione la domanda e i prezzi: ormai ragionare sul barile a 100 dollari non è più fantascienza.
Per il gas è ancora peggio: mentre i paesi produttori di petrolio sono moltissimi (una trentina, almeno) per il gas bastano le dita di una mano. E Russia e Algeria fanno la parte del leone: l’accordo rischia di creare un monopolio intollerabile che potrebbe condurre nel breve periodo a forti aumenti dei prezzi e nel medio periodo a destabilizzazioni politiche ben più gravi di quelle alle quali stiamo assistendo per il petrolio. Per le materie prime energetiche la teoria della liberalizzazione fa acqua da tutte le parti e imposte la politica economica per ridurre il monopolio della trasmissione la vendita di gas nei paesi industrializzati non funziona. L’Italia è terra di conquista di quattro grandi multinazionali: Edison, ora di proprietà della francese Edf, Enel, Gaz de France e Eni, attraverso quella che un tempo si chiamava Italgas. L’aver smantellato il monopolio Eni ha comportato solo l’ arrivo di multinazionali francesi con nessun beneficio per i consumatori. E negli altri paesi europei non è che le cose funzionino diversamente.
Una logica perversa ha costretto l’Eni a mettere sul mercato il 49% della sua rete (la Snam rete gas) e antro il 31 dicembre del 2008 l’Eni deve vendere larga parte della partecipazione che, viste le cifre, potrebbe finire direttamente nelle mani di Gazprom o della Algeria. Di più: la politica dei tetti alla commercializzazione non offre nessuna garanzia, proprio perché il settore del gas (come quello del petrolio) non sono industrie dove qualsiasi imprenditore possa entrare. In questo contesto, con un mercato che è sempre più globalizzato e nel quale gas e petrolio vengono venduti nei paesi dove si può guadagnare di più, l’Autorità per l’energia appare un po’ patetica con la sua smania di fissare prezzi e quote. E’ lo stato che deve garantire direttamente approvvigionamenti e prezzi adeguati dai quali dipendono anche le possibilità di crescita del paese.
Questo significa che lo stato non deve abdicare al controllo del settore energetico, anzi deve rafforzare la sua presenza: contro i cartelli e contro i monopoli è l’unica scelta possibile. E il governo Prodi (dopo 5 anni di latitanza del governo Berlusconi sulla questione energetica) deve porsi obiettivi ambiziosi, magari studiando un po’ meglio «l’odioso» modello francese.
Il gas piace a tutti: ambientalisti e non. Piacciono decisamente meno i rigassificatori. In Italia ne funziona solo uno e solo uno è in costruzione. I rigassificatori servono a differenziare le fonti di approvvigionamento e danno garanzia di stabilità. Il gas che arriva dalla Nigeria o dall’Egitto, ad esempio, non viene trasportato attraverso gasdotti, ma viene trasportato per mare congelato. Ma solo una piccola parte finisce in Italia perché non esistono strutture in Italia in grado di farlo tornare gas. E così l’Eni, a quanto risulta dai bilanci, ha rigassificatori sparsi per la penisola iberica, oltre che in Luisiana per servire il mercato statunitense. Con tutte le accortezze possibili (soprattutto ambientali) una rete di rigassificatori va costruita anche in Italia, ovviamente non solo dall’Eni.
La politica energetica non può seguitare lungo la linea attuale. Sul nucleare in Italia per ora è stata messa una pietra sopra. Ma non è mai detto. E’ necessaria, a questo punto, una forte diversificazione delle fonti. L’etanolo, ad esempio, in sostituzione della benzina; il solare e l’eolico (ma anche altre tecnologie, come quelle che producono sfruttando le maree) per la produzione di energia. L’Italia, paese del sole, è in netto ritardo. L’aver privatizzato Enel e Eni «impone» a queste società più attenzione per l’immediato (i profitti agli azionisti) che per il futuro (la spesa per la ricerca di nuove fonti). Ma anche la ricerca su tutto quanto costituisce risparmio energetico, a partire dalle nostre case. L’aver privilegiato nel passato il privato e aver inseguito le chimere della liberalizzazione è stata una scelta scellerata. Forse si fa ancora in tempo a tornare indietro.