Israele spiana il Libano

A ventiquattro anni dall’invasione israeliana del 1982, anche allora l’Italia vinse i campionati del mondo, l’esercito israeliano è tornato a bombardare Beirut, dove ha colpito l’aeroporto internazionale e la stazione radiotelevisiva della resistenza libanese «al Manar» e dove ha «ordinato» alla popolazione di lasciare i quartieri della periferia sud in previsione di nuovi bombardamenti annunciati da una pioggia di volantini piovuti ieri notte sulle città. In particolare si tratta del quartiere-città di Hareth Hreik, lungo la strada per l’aeroporto, dove vivono oltre 500.000 persone in gran parte sciiti ma anche cristiani, confinante con i campi profughi palestinesi di Sabra, Chatila e Bourj e Barajneh e sede degli uffici e delle residenze dei leader del partito degli Hezbollah (oltre di un noto club di fan della Juventus. La rappresaglia israeliana per l’uccisione di otto suoi soldati e la cattura di due riservisti ad opera della resistenza libanese ha colpito massicciamente il Libano meridionale, sino a sfiorare Tiro e Sidone, dove vi sarebbero già oltre sessanta vittime civili libanesi. La popolazione in preda al panico ha fatto incetta di beni di prima necessità mentre migliaia di turisti sono in fuga alla volta di Damasco prima che Israele bombardi anche quest’ultimo legame con il mondo esterno.
Gli Hezbollah, impegnati in un duro confronto con Israele per «liberare» le fattorie di Sheba, un lembo di terra libanese ancora occupato da Israele alle pendici del monte Hermon, e per ottenere uno scambio tra i due soldati catturati e un certo numero di prigionieri di guerra palestinesi e libanesi hanno risposto agli attacchi israeliani con decine e decine di razzi «Katyusha» che hanno colpito una ventina di insediamenti israeliani provocando tre morti e oltre 60 feriti e mandando nei rifugi circa 300.000 abitanti del nord di Israele. Ad essere colpite dai razzi «katyusha» della resistenza libanese sono state in particolare la cittadina costiera di Nahariya dove si registra una vittima e una trentina di feriti, e quella di Safad, con un altra vittima, dove è stato colpito anche il comando israeliano del Fronte nord. La resistenza libanese ha inoltre minacciato che in caso di attacco sulla periferia di Beirut colpirebbe la città israeliana di Haifa. E per dimostrare di poterlo fare ha lanciato un missile modificato verso il monte Carmelo che sovrasta la città, senza provocare danni di rilievo ma spingendo nei rifugi l’intera popolazione della città e della vicina Akko.
L’aviazione di Tel Aviv ha martellato per tutta la notte di mercoledì e di nuovo ieri il Libano del sud con centinaia di raid aerei distruggendo tutti i ponti e i nodi stradali all’interno della ex fascia di sicurezza occupata da Tel Aviv fino al 2000, e quelli lungo le vie di comunicazione tra le città di Tiro, la più meridionale e la più vicina al confine, Sidone e la capitale Beirut (Damour) in modo da isolare completamente il sud dal resto del paese e interrompere i collegamenti tra le zone montuose dell’interno e le città della costa. Israele ha inoltre imposto il blocco aereo-navale alla repubblica dei Cedri minacciando di abbattere qualsiasi aereo dovesse levarsi in volo mentre le navi da guerra israeliane hanno bloccato tutti i porti libanesi. Il numero delle vittime civili nei villaggi del sud bombardati e sui ponti e le strade distrutte potrebbe essere destinato a salire nelle prossime ore. Di sicuro sono note le stragi di Dweir, vicino a Nabatiyeh, dove un religioso sciita è stato ucciso nella sua casa con i suoi otto figli e la moglie, quella di Baflay (Tiro) dove è stata incenerita una famiglia di sette persone, e Zibqine (a sud est di Tiro) dove invece sotto le macerie è rimasta una famiglia di dodici persone.
I raid israeliani hanno preso particolarmente di mira i villaggi del jabel Amel, tra il confine con Israele a sud e la città di Tiro a ovest, da sempre roccaforte degli Hezbollah e della resistenza sciita. Quest’ultima è praticamente nata tra queste dolci colline dove nel 1959 arrivo per la sua predicazione politico-religiosa l’imam Mousa al Sadr, poi misteriosamente scomparso in Libia nel 1978, colui che dette nuovo slancio e dignità ai «dannati della terra» sciiti del Libano da sempre ai margini della società e del patto costituzionale, elaborato dalla potenza coloniale francese, che lasciava le chiavi del paese nelle mani dei cristiano-maroniti e in via subordinata ai sunniti. Il jebel Amel è una terra che ha pagato duramente, sin dal 1948, l’occupazione sionista della Palestina, con la rottura di tutti i rapporti che aveva al di là del confine e con il tentativo israeliano di occupare anche, sin dall’inizio, questa posizione strategica soprattutto per le sue risorse idriche con le preziose acque dell’Awali, l’Hasbani, il Wazzani e il Litani. Una regione che Teodor Hertzl considerava essenziale occupare per il futuro sviluppo dello stato ebraico. Questi villaggi sono stati quasi sempre sotto il fuoco israeliano e non pochi dei loro abitanti sono stati costretti ad andare a Beirut o emigrare in Africa. Basti pensare come dal ’49 al ’64 la zona venne attaccata da Israele ben 140 volte e dal ’68 al ’74 per altre 3.000 volte, senza contare l’occupazione nel 1967 delle fattorie di Cheba. E non è escluso che Israele voglia stabilirvi di nuovo una sorta di «fascia di sicurezza» come quella pensata nel 1976 da Shimon Peres allora ministro della difesa e poi realizzata nel 1978 con la prima invasione israeliana in grande stile del Libano al prezzo di 1186 morti e 300.000 profughi. Poca cosa rispetto ai 20.000 morti di quella del 1982.