Poco si sta riflettendo su un fatto gravissimo: Stati uniti e Israele hanno costituito un joint command, un comando congiunto, per la guerra contro l’Iraq: la notizia, data il 3 marzo da The Wall Street Journal, è stata ripresa ieri, in una corrispondenza da Washington, dal quotidiano israeliano Ha’aretz. Il joint command, situato nei pressi dell’ambasciata Usa a Tel Aviv, è collegato via satellite al quartier generale del Comando centrale (CentCom) in Qatar. In tal modo, «gli ufficiali israeliani potranno avere in tempo reale esattamente la stessa visione del teatro bellico che avranno gli ufficiali statunitensi che condurranno la guerra dalla base del CentCom in Qatar». Ciò significa che «Israele sarà il solo paese, oltre agli Usa, a essere agganciato direttamente al sistema di comunicazioni del Comando centrale statunitense». Oltre a questo, alcune settimane fa gli Stati uniti hanno fornito a Israele una Jtags (Joint Tactical Ground Station), una postazione mobile che, collegata alla rete satellitare militare, «dà a Israele accesso diretto all’informazione su qualsiasi lancio di missile iracheno senza alcun ritardo né filtro». Ma, dato che «il sistema Jtags non filtra i dati, Israele avrà pieno accesso all’intera informazione raccolta dai satelliti statunitensi sull’Iraq, anche quella che non riguarda lanci di missili iracheni». Gli Stati uniti hanno inoltre costituito «uno speciale sottocomando» che, agli ordini di un generale delle forze speciali, «si impadronirà di uno o due aeroporti nell’Iraq occidentale ancora prima che l’America inizi la guerra terrestre», così da poterli usare per «operazioni anti-missile». A tali azioni parteciperanno probabilmente anche forze speciali israeliane, che già da tempo si sono infiltrate nell’Iraq occidentale.
Gli Stati uniti, spiega The Wall Street Journal, cercano in tal modo di persuadere Israele a «trattenersi» nel caso che l’Iraq riuscisse a colpire il suo territorio con un missile: infatti, «se Israele dovesse rispondere a un attacco iracheno con armi non-convenzionali, perderebbe immediatamente qualsiasi appoggio internazionale». Dato che le «armi non-convenzionali» sono le armi nucleari, ciò significa che a Washington ritengono possibile un attacco nucleare israeliano contro l’Iraq, cosa che vogliono evitare perché, secondo gli strateghi del Pentagono, le armi «convenzionali» degli Stati uniti sono più che sufficienti a sconfiggere un paese come l’Iraq.
Resta comunque il fatto che le armi nucleari entrano in gioco anche in questa guerra. Quelle israeliane – che, secondo l’autorevole rivista Jane’s, sono circa 400 con una potenza equivalente a 3.850 bombe di Hiroshima – saranno comunque sulle rampe di lancio, puntate non solo su Baghdad ma su tutte le altre capitali arabe, perché nessuno si muova mentre l’Iraq viene invaso e occupato. Anche le forze statunitensi, come già nella guerra del 1991, saranno dotate di armi nucleari «tattiche» da usare in caso di necessità.
Siamo dunque di fronte, come sottolinea The Wall Street Journal, a «misure senza precedenti». La guerra non è più solo statunitense ma, apertamente, statunitense-israeliana. Il comando congiunto altro non è che l’espressione di un’unica strategia, portata avanti dall’amministrazione Bush e dal governo Sharon. Il suo obiettivo immediato è l’occupazione dell’Iraq, di importanza chiave sia per le sue attuali riserve petrolifere e per quelle ancora da sfruttare (non a caso concentrate nell’Iraq occidentale che dovrà essere occupato per primo), sia per la sua posizione geostrategica nella regione mediorientale. Gli obiettivi successivi di tale strategia prevedono altre guerre, ad esempio contro l’Iran, per rafforzare il predominio statunitense-israeliano nell’intera regione. Ciò rende la situazione mediorientale sempre più esplosiva.
Crescono di conseguenza anche le responsabilità di quei governi che, come quello italiano, si sono allineati con Washington, accodando parte dell’Europa a una strategia che non solo è pericolosissima, ma va contro gli stessi interessi economici dell’Europa. Basti pensare al fatto che, una volta occupato l’Iraq, verranno sicuramente annullati i contratti stipulati con Baghdad dalle compagnie europee, poiché dovranno essere quelle statunitensi a sfruttare la ricchezza petrolifera irachena. Da qui la presa di distanza dei governi francese e tedesco, frutto non di una scelta pacifista ma del ragionamento politico, che porta a chiedersi «cui prodest?», a chi serve questa guerra? Berlusconi ha voluto anche lui citare un famoso detto latino, ma si è impappinato dicendo «si vis bellum» invece che «si vis pacem». Ha così detto la verità: se vuoi la guerra, prepara la guerra.