La decisione era nell’aria da giorni e, dopo il ferimento grave a Sderot di due adolescenti colpiti da un razzo artigianale Qassam, ieri è stata ufficializzata. Il governo israeliano ha deciso di riprendere gli attacchi «mirati» a Gaza contro i palestinesi responsabili dei lanci di razzi, ribadendo però l’impegno al rispetto della tregua entrata in vigore lo scorso 26 novembre.
Sulla carta le forze armate israeliane prenderanno di mira solo coloro che si preparano a lanciare i Qassam, ma è evidente che la ripresa delle operazioni darà fuoco alle polveri del conflitto. D’altronde sono chiare anche le responsabilità dei militanti dell’Intifada. È vero che la tregua non è mai stata estesa, come chiedono i palestinesi, alla Cisgiordania dove l’esercito israeliano ha continuano in queste ultime quattro settimane i suoi raid (facendo diverse vittime), specie a Nablus, e ha arrestato dozzine di palestinesi – anche un giudice militare israeliano, ha denunciato la pratica degli arresti di massa e della detenzione senza accuse specifiche (circa 2.700 solo quest’anno) – ma lanciando i loro razzi artigianali verso Sderot, Ashqelon e il Negev gli attivisti dei gruppi armati hanno offerto a Israele, il pretesto per riprendere gli attacchi, con il pieno consenso internazionale. L’ex capo negoziatore, Saeb Erekat, si è appellato al mantenimento del cessate il fuoco e ha esortato i gruppi armati a interrompere i lanci di Qassam. Lo stesso portavoce del governo di Hamas, Ghazi Hamad, ha auspicato che l’accordo di tregua «sia ancora in vita» e ha precisato che «entrambe le parti devono rispettarlo».
In ogni caso Hamas e Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, non sono stati in grado di tenere sotto controllo il Jihad islami, una organizzazione minuscola che continua a comportarsi come una mina vagante. Ieri il Jihad ha ammesso che il suo obiettivo è quello di provocare una reazione israeliana in modo da coalizzare tutti i palestinesi «contro il comune nemico», mettendo così fine agli scontri tra Hamas e Fatah. In Israele sono tanti a soffiare sul fuoco della tensione. Cosa aspetta il governo a reagire?, hanno protestato i sostenitori della linea del pugno di ferro. Il quotidiano più venduto, Yediot Ahronot, ha colto l’occasione per riciclare informazioni vecchie di settimane secondo cui Hamas avrebbe stretto accordi di cooperazione militare con l’Iran.
«Di fronte alla colpevole apatia di Olmert e compagni – ha sentenziato il giornale – Hamas sta mettendo assieme un esercito che non darà respiro a Israele esattamente come gli Hezbollah». Così persino le timidissime aperture fatte Olmert ad arabi e palestinesi in questi ultimi giorni – ha visto Re Abdallah di Giordania e Abu Mazen e il 4 gennaio incontrerà il presidente egiziano Mubarak a Sham el-Sheikh – sono diventate un pericolo per coloro che nel governo e non solo all’opposizione sono contrari all’avvio di un dialogo con i palestinesi. I ministri laburisti, con Amir Peretz in testa, guidano la pattuglia dei «perplessi», senza dimenticare le pressioni del superfalco ministro per le «minacce strategiche» Avigdor Lieberman.
Un tono diverso è stato usato solo dal ministro degli esteri Tzipi Livni che in una intervista, al quotidiano Ha’aretz, ha detto di essere favorevole a negoziare con i palestinesi anche con i lanci di razzi Qassam e ha lasciato capire che è venuto il tempo di saltare la prima parte della «Road Map», quella dove si fa riferimento al cosiddetto «smantellamento delle infrastrutture del terrorismo» prima di qualsiasi impegno israeliano (questo punto fu imposto dall’ex premier Sharon proprio per tenere ferma ai nastri di partenza la «Road Map»). Intanto ieri, con colpevole ritardo, la presidenza di turno finlandese dell’Ue si è dichiarata «profondamente preoccupata» per il via libera dato dal governo israeliano alla costruzione del nuovo insediamento ebraico di Maskiot, in Cisgiordania. «Questo sviluppo è contrario agli impegni assunti da Israele all’interno della Roadmap», ha protestato. Era dal 1992 che non veniva autorizzata la costruzione di un nuovo insediamento ebraico anche se, nel frattempo, tutte le altre colonie sono diventate citta’ e sono sorti 102 avamposti colonici.