Israele rifiuta la tregua dell’Onu. Strage di bambini a Nabatiyeh

L’annunciato ritorno di Condoleezza Rice a Gerusalemme è stato preceduto, ieri, da un passo altrettanto previsto da parte del governo israeliano: il rifiuto della richiesta di tregua di 72 ore per consentire i soccorsi alle popolazioni civili, rivolta dall’Onu sia allo Stato ebraico che a Hezbollah. Un diniego, quello da parte dell’esecutivo Olmert, definito «assurdo» dalle autorità del Libano bombardato e prostrato.
Così, nel primo pomeriggio di ieri un attacco aereo israeliano sulla martellata cittadina di Nabatiye nel Sud-Est ha centrato una casa e sterminato un’intera famiglia, quella dei Nassar: sette persone, tra le quali cinque bambini e la loro madre. Poi, i caccia con la stella di David sono piombati su Masnaa, proprio al confine con la Siria: dov’è situato il principale valico tra i due Paesi. Tre missili avrebbero colpito la strada, col risultato che per la prima volta il valico, principale via di fuga per le moltitudini di sfollati libanesi, è stato chiuso. A sera, è giunta la notizia che a finire sotto tiro sono stati anche, e di nuovo, gli osservatori Onu: prima la televisione libanese poi lo stesso comando Unifil allAnsa hanno riferito che una bomba sganciata da un aereo israeliano aveva colpito la postazione 9-36 del contingente delle Nazioni Unite, presso Adaisseh, quasi al confine con lo Stato ebraico. Due caschi blu indiani sono stati feriti.

Le basi e le finalità dell’atteggiamento scelto da Israele si sono rivelate quando, poco prima dell’arrivo di Rice dalla Malaysua, fonti ufficiose hanno fatto sapere che non si richiederebbe più il disarmo immediato del “Partito di Dio” sciita libanese. Condizione per cessare l’offensiva sarebbe invece il dispiegamento della forza d’intervento multinazionale sulla quale avevano insistito venerdì Bush e Blair a Washington, appunto per procede al «disarmo di Hezbollah»: cui dovrebbero anche essere tagliati «i rifornimenti da Siria e Iran». E’ questo il fondamento del “pacchetto” che Rice ha discusso ieri dalle 20 con Olmert: da trasformare in proposta di risoluzione al Consiglio di Sicurezza, che si vocifera possa essere riunito giovedì. Sarà in quella sede che si squaderneranno i contrasti fra l’asse Usa-Regno Unito, a copertura di Israele, e chi ha finora spinto per una risoluzione: la Francia, che triangolando con il segretario generale Kofi Annan e gli altri “Grandi” con diritto di veto, Russia e Cina, ha sempre puntato ad uno schema diverso. Ribadito ieri dal ministro degli Esteri Douste-Blazy, già con le valige pronte per New York: «prima di tutto» il cessate il fuoco, quindi «un accordo politico tra le parti» solo dopo una forza d’intervento, «sotto l’egida delle Nazioni Unite».

E lo stesso schema perorato alla Conferenza di Roma e poi fatto approvare da tutti i membri del suo governo, dal premier libanese Siniora, pur elogiato da Rice per aver “ammorbidito” Hezbollah. E non è un caso che la Siria abbia ieri pubblicizzato la sua «opposizione» all’iddea d’un invio rapido d’una forza multinazionale in Libano, «senza prima concludere un negoziato». Così come lo sceicco Nasrallah, ossia il numero 1 del “Partito di Dio”, è ricomparso ieri sulla sua televisione per scoprire le carte, a modo suo: Israele, ha detto, ora «cerca tregua» perché «teme l’incognito» e «non ha vinto», ma a «spingerla avanti» sarebbero proprio gli Usa.

Questo lo scenario che, oggi, dovrà affrontare Massimo D’Alema, a sua volta in missione a Gerusalemme; mentre Rice sarà già a Beirut.