Israele: perché è apartheid

ISRAELE/SCHEDA

Contrariamente alla legislazione degli Stati uniti che riconosce, nell’ambito di una Costituzione democratica, una cittadinanza unica e universale per tutti i cittadini Usa senza distinzioni nazionali, religiose, linguistiche, tribali, nonché di orientamenti sessuali, lo Stato d’Israele non conferisce una cittadinanza universale a tutti i suoi cittadini. Guidato dalla dominante ideologia del sionismo politico il legislatore israeliano (la Knesset) ha varato quattro differenti tipi di cittadinanza che esprimono una diseguaglianza lampante nella legge stessa, rappresentando – in altre parole – una nuova forma di Apartheid.
Nello Stato di Israele il diritto di partecipare alla vita politica di un cittadino che ai termini di legge viene classificato come “non Ebreo” (cioè “Arabo”) è formalmente uguale al diritto di un cittadino classificato per la legge come “Ebreo”. Analogamente la posizione di fronte alla legge dei tribunali di un cittadino classificato come “non Ebreo” è formalmente uguale a quella di un cittadino classificato per legge come “Ebreo”. Invece nei confronti dei servizi sociali e di welfare e delle risorse materiali dello Stato i diritti di un cittadino definito per legge come “non Ebreo” non sono uguali a quelli di un cittadino definito come “Ebreo”. Fino alla sentenza della Corte Suprema afferente al caso Qaadan contro Qatzir (marzo 2000), ai cittadini che per legge venivano definiti come “non Ebrei” (cioè “Arabi”) veniva negato l’accesso al 93% del territorio di Israele prima del 1967 gestito dalla Israel Land Administration (Ila).
In altre parole, il sistema giuridico israeliano si basa su almeno due categorie di cittadinanza. La categoria “A” vale per cittadini che la legge definisce come “Ebrei” cui la legge stessa conferisce un accesso preferenziale alle risorse materiali dello Stato come anche ai sevizi sociali e di welfare per il solo fatto di essere, per legge, “Ebrei”; in contrasto con la cittadinanza di categoria “B” i cui componenti sono classificati per legge come “non Ebrei”, cioè come “Arabi” e come tali discriminati dalla legge per quanto concerne la parità di accesso alle risorse materiali dello Stato ai servizi sociali e di welfare e soprattuttto per ciò che concerne la parità di diritti di accesso alla terra ed all’acqua.
Tuttavia nell’ambito della cittadinanza di categoria “B” esiste nello Stato di Israele – in virtù della Legge sulla Proprietà Assenteista del 1950 – anche una categoria “C” comprendente quei cittadini arabi che pur presenti dentro lo stato vengono classificati dalla legge come ‘assenti’. Questi cittadini arabi sono in effetti presenti in Isreale come contribuenti e come votanti ma – essendo classificati come “assenti” dalla summenzionata legge oscena – si vedono negati tutti i diritti alle proprietà (terre, case, società, azioni, conti in banca, cassette di sicurezza, ecc.) in loro possesso fino al 1948. Intorno al 20% dei cittadini arabo-palestinesi di Israele, circa 200 mila persone, sono oggi considerati dalla legge israeliana come cittadini di categoria “C”, cioè come “presenti-assenteisti”.
Inoltre, sempre in virtù della legge sulla Proprietà Assenteista del 1950, il legislatore israeliano (la Knesset) ha stabilito per legge una cittadinanza di categoria “D” formata dai 750 mila profughi di Palestina del 1948 e dei loro discendenti – valutati dall’Unrwa intorno alle quattro milioni di persone – cui è stata negata la cittadinanza.
Secondo ii termini della Risoluzione dell’Onu 181 (Piano di Spartizione con Unione Economica) del novembre 1947 – cioè il documento costitutivo dello Stato di Israele e dello Stato di Palestina che prevedeva la spartizione del territorio della Palestina del Mandato Britannico in uno “Stato Ebraico” ed uno “Stato Arabo” – gli attuali 4 milioni di profughi della Palestina del 1948 hanno diritto alla cittadinanza dello “Stato Ebraico”. Tuttavia il legislatore israeliano (la Knesset) in virtù della suddetta Legge sulla Proprietà Assenteista ed in violazione delle norme della Dichiarazione Universale sui Diritti Umani e delle norme di legge internazionali ha denazionalizzato la massa dei profughi della Palestina del 1948 negando loro il diritto alla cittadinanza israeliana e trasformandoli così in apolidi.
Secondo i termini dei suddetti documenti costitutivi dello Stato di Israele dello Stato di Palestina (risoluzione Onu 181) tutti gli ebrei normalmente residenti nei territori attribuiti dall’Onu allo “Stato Arabo” avevano diritto alla cittadinanza dello “Stato Arabo” mentre tutti gli arabi normalmente residenti nei territori attribuiti dall’Onu allo “Stato Ebraico” (inclusi, certamente, tutti i profughi palestinesi del 1948 ed i loro discendenti) avevano diritto alla cittadinanza dello “Stato Ebraico” ed ovviamente ai titoli delle loro proprietà in Israele ed al diritto di ritornare…

* Il 25 giugno scorso il quotidiano israeliano “Ha-aretz” ha pubblicato, con il titolo “Uno stato democratico di tutti i suoi cittadini e profughi” questo articolo di Uri Davis, dell’università di Durham in Inghilterra ed autore di un noto volume sulla discriminazione etnico-nazionale in Israele [Israel: An Apartheid State Zed Books, London, 1987 & 1990]. La versioneintegrale del pezzo si trova sul sito www.mediareviewnet.com/Uri.htm da cui traduciamo ampi stralci. Le argomentazioni di Uri Davis sono rilevantissime in relazione alla questione del razzismo sollevata contro Israele a Durban. Ricordiamo ai lettori che tra le leggi fondamentali di Israele vi è la legge del ritorno che conferisce a qualsiasi ebreo la facoltà di ottenere immediatamente la cittadinanza israeliana e di insediarsi in Israele e nei territori da esso annessi. La vita dei palestinesi originari dai territori assegnati dall’Onu allo stato ebraico oppure da questo conquistati è piuttosto caratterizzata da una legge opposta, codificata attraverso varie leggi sussidiarie : quella del non ritorno. (a cura di Joseph Halevi).