Israele, nell’esercito è tutti contro tutti

Amir Rapaport, del quotidiano Maariv, non ha dubbi. Il capo di stato maggiore, Dan Halutz, sta perdendo il controllo delle forze armate e rischia di essere travolto dallo tsunami provocato dall’insuccesso militare in Libano del sud. Le dimissioni del generale Udi Adam potrebbero aver aperto le porte ad una crisi senza precedenti nell’esercito, spina dorsale della società israeliana. Adam ha scelto il momento più critico per Halutz, quello dell’apertura dell’inchiesta sull’offensiva contro il Libano, per pareggiare i conti con il capo di stato maggiore che durante il conflitto lo umiliò affiancandogli – di fatto sostituendolo – il suo vice, il generale Moshe Kaplinsky. Per Halutz sarebbe stato molto meglio se tutti fossero rimasti ai loro posti fino al 2007, alla pubblicazione dei risultati della commissione d’indagine guidata dal generale Udi Shani. Adam di fatto ha scelto di unirsi al campo del ministro della difesa Peretz (laburista), schierato contro Halutz e critico del comportamento del premier Ehud Olmert.
La «guerra dei generali» ha suscitato grande scalpore in Israele: la decisione di affiancare Kaplinsky ad Adam venne letta come un segnale del malessere delle forze armate per come veniva condotta l’offensiva contro il Libano. Adam era accusato di comportarsi come un «pompiere», impegnato a rimediare a una crisi, anziché come un generale dotato di una strategia offensiva. Secondo alcuni, tuttavia, le lamentele sui punti deboli del governo e i fallimenti dell’attacco militare avrebbero dovuto essere indirizzati ad Halutz, non ad Adam. Ai siluri sganciati da Amir Rapaport all’establishment politico-militare, si sono aggiunte le critiche durissime dell’ex capo di stato maggiore Moshe Yaalon che ha chiesto le dimissioni di Olmert e Halutz e non ha risparmiato accuse anche al ministro della difesa Peretz. Yaalon ha condannato la decisione di lanciare l’operazione di terra in Libano. «Questa mossa è stata decisa per dare un senso di vittoria, per ragioni di immagine, ma non si può agire in questo modo», ha commentato. «Non c’è bisogno di una commissione di inchiesta. Coloro che hanno preso le decisioni dovrebbero assumersi le proprie responsabilità e dimettersi. Halutz è entrato in guerra senza realizzare che si trattava di un conflitto. Non ha capito il significato dei passi che ha fatto. Olmert non può dire “Non sapevo”. Non può dirlo. Anche se non ha esperienza nel campo militare, sa come si va in guerra», ha detto ancora Yaalon, sottolineando come la «gestione del conflitto si sia rivelata un fallimento e come Olmert sia responsabile per questo».
Le parole di Yaalon hanno lasciato il segno e sono destinate a rendere ancora più esplosive le polemiche in un paese che, peraltro, sta vivendo il grave scandalo che coinvolge il capo dello stato Moshe Katsav, sotto inchiesta perché accusato di molestie e violenze sessuali da sette ex assistenti. Mai come in questi giorni le massime cariche istituzionali di Israele sono finite sotto un intenso fuoco di sbarramento. Ieri Lior Katsav, il fratello del presidente, ha ribattuto che le accuse sono tutte infondate e presto «gli israeliani dovranno chiedere umilmente scusa al presidente». Katsav ha dovuto osservare una giornata di «autosospensione» per non essere obbligato a partecipare alla solenne cerimonia di giuramento del nuovo presidente della Corte Suprema, il giudice Dorit Beinish.