Quanto ieri era impensabile oggi diventa sorpresa e sarà routine domani. Un anno e messo di governo di Ariel Sharon non ha portato sicurezza, né la pace promessa, e la crisi economica si approfondisce. Oltre 500 israeliani sono stati uccisi da quando Sharon è salito al potere. Qualche settimana di tranquillità ha permesso agli israeliani e all’opinione pubblica mondiale di dimenticare i Territori occupati. I fastidiosi palestinesi sono scomparsi dalle coscienze, mentre alcuni esperti discutono di democratizzare la futura Palestina. Due attacchi brutali con oltre dodici morti israeliani hanno permesso una reazione pavloviana. Gli attacchi sono un problema grave per l’élite iraeliana e l’esercito. Fino a lunedì scorso ci volevano convincere che la migliore politica contro gli attentati era lasciare le truppe israeliane nelle città palestinesi occupate. Ma se i palestinesi attaccano? Bisogna cercare un nuovo strumento nell’arsenale demenziale della destra fascista israeliana. Il vero punto è trasformare i Territori occupati in parte integrante di Israele. Per questo, non bisogna arrivare a nessuna «pace» che metta in gioco i presupposti del disegno della destra israeliana. Lo stato palestinese futuro, in qualsiasi forma, anche solo una debole catena di bantustan, è la negazione del sogno della destra integra.
La destra annessionista – un misto di fascisti, ultranazionalisti e fondamentalisti religiosi, cerca tutti i mezzi per ottenere la resa della Palestina e se possibile la sua scomparsa dalla Terra santa. Se la settimana scorsa si discuteva qui di nuove forme di apartheid, ora si comincia a ricorrere ai mezzi usati in passato dai peggiori nemici del popolo ebraico. Una volta erano reazioni isolate di una destra estrema marginale. Oggi vengono dal cuore dell’establishment. Nell’accecamento generale, «l’alternativa pacifista e moderata» alla brutalità del premier Sharon è il grande Demostene del «pacifismo» laburista, il ministro della difesa Ben Eliezer. E’ lui che appoggia, promuove e giustifica la brutale politica di occupazione dell’esercito israeliano nei Territori occupati.
Perché sorprendersi delle annunciate deportazioni dei familiari e la distruzione delle case dei terroristi? Il segretario delle Nazioni unite dice che si tratta di punizione collettiva, pertanto condannabile. Ma tutti i palestinesi subìscono una terribile punizione collettiva e quasi nessuno si scandalizza. Da ormai 4 settimane oltre un milione di palestinesi è chiuso nelle proprie case sotto coprifuoco, un regime ora alleggerito per qualche ora al giorno. Tre milioni di palestinesi sono in una prigione brutale. Ci sono problemi di salute pubblica, spazzatura nelle strade, epidemie alle porte, fame per molti. Ogni giorno cadono vittime palestinesi dell’arbitrio militare.
Nessuno lo vede. Né da Israele, né dall’Europa: tutti voltano lo sguardo altrove e si sorprendono, un po’ sdegnati, quando arriva un nuovo attacco terrorista. Il terrorismo palestinese è inaccettabile, ma bisogna capire che le sue radici stanno in una realtà impossibile: l’occupazione militare senza freni, che porta umiliazione, disperazione, desiderio di vendetta. E’ un fatto che la maggioranza ignora o preferisce ignorare: le forze armate israeliane sono diventate una macchina brutale che semina odio.
Il governo israeliano non annuncia l’occupazione dei Territori né la fine degli accordi di Oslo, perché vorrebbe dire assumersi qualche responsabilità verso la popolazione occupata. Ma così la tragedia umanitaria che cresce di ora in ora nei Territori sarà percepita da tutti solo quando ci esploderà in faccia. Forse allora l’«opinione pubblica» e i dirigenti «democratici» dell’Occidente civile dovranno trovare qualche palliativo a questa situazione. Nel frattempo tutti mostrano comprensione verso al politica di uno stato che deve difendersi. Come se si potesse considerare «difesa» la punizione di un intero popolo.
E se i soldati israeliani rifiutano di servire nella riserva? Il «moderato» rabbino Aviner, in un insediamento vicino a Ramallah, ha trovato la soluzione nei testi sacri: ci vuole la pena capitale per i refusnik. I rabbini delle colonie ebraiche sono oggi tra le maggiori espressioni della degenerazione fascista del paese. Un altro di loro, il rabbino Daniel Shilo, propone di espellere dal ministero degli esteri chi appoggia gli accordi di Oslo. Il rabbino Israel Rozen è più pratico: tagliare acqua, elettricità e combustibile ai palestinesi per far pressione sulla popolazione civile che appoggia e protegge i terroristi: «Se questo spinge qualcuno ad abbandonare il paese, soprattutto i giovani, sarà un vantaggio aggiuntivo». Ancora più pratico è il rabbino Levanon: «In guerra muoiono anche civili innocenti. E’ permesso bombardare luoghi in cui si preparano futuri attacchi terroristi anche quando ciò colpisca donne e bambini». Guidon Perl la butta in trattativa: «Circondare le città palestinesi, tagliare acqua e viveri e condizionare le forniture alla consegna delle armi dei palestinesi». Si trovano sempre fondamenti teologici per ogni misura razzista, ogni politica criminale. E se questo assomiglia a volte alle misure adottate in passato contro gli ebrei dai loro peggiori nemici, per favore sorvoliamo. Non accetteremo critiche da antisemiti dichiarati o velati.