Israele, la Livni bacchetta l’Ue: rigare dritto

È stata una overdose di Tzipi Livni. Il ministro degli esteri israeliano nelle ultime ore è intervenuta un po’ su tutto, dal governo palestinese al nucleare iraniano, ma soprattutto ha avvertito che Israele interromperà i colloqui con i palestinesi «moderati» (Abu Mazen), se l’Unione Europea non si manterrà ferma sulle tre condizioni poste dal Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu) al governo dell’Anp, per la fine dell’embargo politico ed economico in vigore da quando Hamas ha vinto le elezioni poco più di un anno fa.
Più di tutto il Jerusalem Post ieri ha riferito che la signora Livni, la scorsa settimana a Bruxelles, ha avvertito i suoi colleghi europei che «la capacità di fare progressi con i palestinesi moderati è strettamente legata al fermo impegno da parte della Comunità internazionale» sul riconoscimento di Israele, la fine della lotta armata, e il rispetto degli accordi passati. La minaccia, ha spiegato il giornale, è una risposta alle pressioni che alcuni paesi europei starebbero facendo sui vertici dell’Ue affinché sia adottato un atteggiamento più flessibile nei confronti del futuro governo palestinese che dovrebbe vedere la luce a fine settimana. Nell’elenco dei «cattivi» ci sono Italia, Finlandia, Spagna e Francia.
Il ministro degli esteri non si è fermata alle minacce, pardon, alle «spiegazioni» ai suoi colleghi europei, perché dagli Stati Uniti, dove è in visita, è intervenuta di nuovo sulla questione dell’assetto futuro Israele-Palestina per ribadire che sarà soltanto lo Stato palestinese a dover trovare una soluzione al problema dei profughi della guerra del 1948 (circa 800mila a quel tempo, oggi 4 milioni) e che Israele non darà mai attuazione alla risoluzione 194 dell’Onu che sancisce il diritto dei profughi di tornare alle loro case e ai loro villaggi (ora in territorio israeliano). Su questo punto domenica ha battuto con forza il premier Olmert, prima del faccia a faccia con il presidente palestinese Abu Mazen, aggiungendo di guardare al prossimo vertice arabo (28-29 marzo a Riyadh) con la speranza che l’incontro porti ad una modifica dell’iniziativa saudita del 2002, ovvero all’annullamento dei punti che affermano il diritto al ritorno per i palestinesi.
Israele nega di avere responsabilità nella questione dei profughi che, sostiene, sarebbero andati via «spontaneamente» o su sollecitazione dei paesi arabi confinanti, nonostante la stessa storiografia israeliana più recente smentisca questo mito creato 60 anni fa. Il ministro Livni ieri ha trovato il modo anche di ripetere che le sanzioni contro l’Iran per il suo programma nucleare dovranno «essere rafforzate ed estese senza indugio».
Intanto fallito il vertice di domenica con Olmert, che ha rifiutato di dare il via libera al futuro governo palestinese, Abu Mazen sta cercando di stringere i tempi per la formazione del nuovo esecutivo. Gli ostacoli sul terreno rimangono molti, anche perché correnti all’interno di Fatah e Hamas continuano a lavorare contro gli accordi della Mecca.
Senza dimenticare le critiche durissime che il numero due di Al-Qaeda, Ayman Zawahri, domenica ha rivolto al movimento islamico palestinese che ha accusato di aver «svenduto la Palestina agli ebrei». Fawzi Barhum, un portavoce di Hamas, ha affermato che «Zawahri ha commesso errori gravi nei confronti del nostro movimento e ha usato termini che non si conciliano con i nostri dirigenti, con i nostri simboli e con la nostra forte presenza sul terreno».
Barhum ha aggiunto che «è errato fare paragoni fra l’Iraq e l’Afghanistan, da un lato, e la Palestina, dall’altro. Qui il nostro popolo intero è sotto occupazione e in parte recluso. Eppure – ha concluso – la nostra resistenza ha avuto successi sia sul terreno che sul piano politico».