Israele. I tempi duri del boicottaggio

Il Parlamento israeliano, attraverso la Commissione Costituzione e Diritto, ha approvato martedì scorso un disegno di legge che colpisce quei soggetti, privati o associazioni, che criticano la politica di Israele nei territori occupati palestinesi attraverso la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni.

Conosciuta come BDS, la campagna internazionale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele rientra in un ambizioso progetto di ribellione nei confronti della politica coloniale israeliana: misure punitive non violente simili a quelle adottate in Sud Africa per l’abolizione dell’apartheid. Simili le misure di protesta, ma non la politica dei colonizzatori perché, come dice lo scrittore israeliano antisionista Ilan Pappé, l’apartheid è stato per i neri un picnic in confronto a quello che la colonizzazione israeliana sta rappresentando per il popolo palestinese: occupazione della terra, oppressione della popolazione, violazione dei diritti umani e delle direttive dell’ONU.

La società civile palestinese, promotrice della campagna, ha chiesto alle organizzazioni internazionali, agli Stati e agli uomini di coscienza di imporre ampi boicottaggi, realizzare iniziative di disinvestimento, imporre embarghi e sanzioni contro l’economia di guerra di Israele. Nel testo dell’appello unitario palestinese per il BDS si legge che queste misure di boicottaggio e ostruzionismo dovrebbero protrarsi finché Israele non rispetterà il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione, le norme del diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite in merito al conflitto israelo-palestinese.

La campagna BDS, in appena sei anni, ha coinvolto endemicamente un numero sempre maggiore di soggetti privati, associazioni culturali, comitati promotori a livello territoriale di diversi paesi; ha convinto quelle persone di coscienza a prendersi quella responsabilità storica e morale di combattere questa grave ingiustizia, semplicemente attraverso una scelta migliore e consapevole dei prodotti nel momento dell’acquisto.

In Europa, e precisamente in Francia, la campagna BDS ha recentemente sedotto i dirigenti dei magazzini Sephora che hanno deciso, all’inizio di questo nuovo anno, di ritirare dal loro mercato quei prodotti cosmetici importati dalla colonia di Mitzpe Shalem, in Cisgiordania, quindi in quella parte di territorio palestinese occupato da oltre quarant’anni dalle colonie ebraiche. In Italia, l’appello per il BDS ha portato alla nascita di una coalizione italiana contro la Carmel-Agrexco, il principale esportatore di prodotti agricoli israeliani. L’80% di questi prodotti, coltivati in prevalenza nella Valle del Giordano, quindi in territori occupati illegalmente da piantagioni coloniali e basi militati, arriva in Europa passando per i porti di Vado Ligure, in provincia di Savona, e di Livorno. Proprio presso il porto Livorno, principale snodo italiano per la ZIM Integrated Shipping Services, il maggior operatore marittimo israeliano, lo scorso sabato 12 febbraio si è tenuta una manifestazione nazionale di protesta e di sensibilizzazione nell’ambito della campagna BDS.

Tempi duri per la Knesset, quindi, che non solo vede allungarsi la lista dei Paesi che hanno riconosciuto lo Stato palestinese almeno entro i confini territoriali del 1967, ma che pure assiste alla diffusione di quel sentimento di solidarietà con il popolo di Palestina. Solidarietà, questa, che come sostiene Omar Barghouti, egiziano fondatore della Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele, “non vuol dire quasi nulla se non può essere tradotta in un’azione di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni che costi veramente cara all’occupazione israeliana e al regime dell’apartheid”. Insomma, per sperare di attirare l’attenzione di Israele occorre toccarne i profitti.

Il Parlamento israeliano, la Knesset appunto, ha quindi approvato il Boycotting bill. Ma più che un disegno di legge sembra una vera bolla: alle aziende, alle compagnie e a quei soggetti che lavorano nel commercio viene garantito il diritto di chiamare in causa quei cittadini, israeliani e residenti, che avrebbero incoraggiato, promosso o fornito assistenza alla campagna di boicottaggio.

L’appello per il BDS, infatti, è stato rivolto anche agli “israeliani di buona volontà”, affinché sostenessero questa campagna per la realizzazione di una giustizia vera e di una pace effettiva. Gli attivisti israeliani hanno accolto questo appello cosicché sono nate alcune associazioni tra cui Boycott from within, nel cui comunicato d’apertura si legge: “noi, palestinesi, ebrei, cittadini di Israele, sosteniamo l’appello dei palestinesi per la campagna BDS contro Israele”.

La Knesset ha esteso le attività criminali di sostegno del boicottaggio anche alle organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani: secondo il Boycott bill, infatti, sono perseguibili tutti quei soggetti che pubblicano notizie riguardanti la politica di Israele nei territori occupati, i resoconti dell’espansione coloniale, la violazione dei diritti da parte delle truppe israeliane nei confronti della popolazione palestinese.Queste misure antidemocratiche non restituiranno ai magazzini Sephora i prodotti cosmetici, non fermeranno le manifestazioni contro l’Agrexco Ltd., non impediranno agli attivisti israeliani di lavorare per la vera pace. Questa legge non servirà a calmare quel sentimento di solidarietà verso il popolo palestinese, al contrario! Contribuirà a relegare quel vessillo color tallèd in un angolo di disprezzo nella memoria collettiva.