Nel 1977 il Presidente Carter fece firmare ad Israele ed all’Egitto gli accordi di Camp Davis che imposero il ritiro completo delle truppe di Tel Aviv dal Sinai. Come contropartita il Cairo si impegnò a smilitarizzare la penisola. Senza la garanzia del ritiro israeliano ciò non sarebbe successo. Analogamente nessuna pacificazione è possible sulla frontiera del Libano senza la garanzia del ritiro israeliano dalle alture del Golan, spopolate dai loro abitanti e colonizzate da Tel Aviv in totale violazione delle risoluzioni dell’Onu. Grazie agli scritti recenti di Carter ora sappiamo che egli condusse le trattative in tutta onestà, considerandole una prima tappa per il ritiro completo delle truppe israeliane da tutti i territori occupati con la guerra del 1967 che, come ammesso dagli stessi generali israeliani dell’epoca e da Beghin nel 1982, fu una scelta politica del governo di Israele. Firmato l’accordo di Camp David il governo israeliano intraprese una politica opposta alla pace accelerando la repressione in Cisgiordania e preparando l’invasione del Libano nel 1982. Quest’ultima venne effettuata per consolidare il controllo sulla Cisgiordania eliminando le basi dell’Olp in Libano meridionale ed a Beirut. Contrariamente alle aspettative di Carter la possibilità di concentrarsi contro i palestinesi ed il Libano scaturì proprio dalla neutralizzazione del peso rappresentato dal fronte del Sinai con l’Egitto.
E la situazione odierna in Libano dal lato israeliano? Per la stampa in lingua ebraica si tratta prevalentemente di una tregua temporanea durante la quale si deve ricostituire la capacità offensive dell’esercito. Avraham Tal su Ha-Aretz del 18 agosto in un articolo intitolato «Preparsi fin d’ora alla prossima guerra» elencava una serie di riforme tecniche in vista del conflitto che, dice, comincerà abbastanza presto. Sull’edizione del 29 agosto Ari Shavit scriveva a chiare lettere e senza nemmeno prendere in considerazione l’arrivo delle truppe Ue-Onu, che «la tabella di marcia ha tempi brevi, molto brevi. Il cessate il fuoco in Libano non è stabile e non lo sarà. La tregua è intrappolata nel dilemma se accettare la potente presenza di Hezbollah oppure intrapendere un’energica azione contro l’organizzazione rischiando così un’escalation». Secondo Shavit il momento cruciale arriverà il prossimo inverno. «Sul fronte iraniano il quadro è limpido: il momento della verità cadrà in inverno. Se gli Usa attaccheranno l’Iran, Israele verrà attaccata. Se gli Stati uniti non attacheranno, allora Israele dovrà far fronte alla più seria minaccia alla sua esistenza dalla data della sua fondazione». In corsivo, perché svela la psicologia dell’establishment israeliano sia esso di destra o liberal democratico. Il pericolo per Israele diventa reale se gli Usa non aggrediranno l’Iran. Shavit non scrive a caso. Il governo ha indebolito il paese, per cui deve andarsene. La tregua sarà corta ed il poco tempo a disposizione deve essere usato per ristabilire la potenza di Israele agli occhi del mondo arabo, dell’Iran e degli stessi Stati uniti. E vale anche la pena di menzionare che, come osservato da Uri Avnery, i capi dei servizi di spionaggio militare parlano apertamente di un prossimo round. Qual è quindi il prossimo scenario più plausibile?
E’ augurabile che la tregua regga. E regge, con il nuovo annuncio di Kofi Annan di una trattativa diretta tra Hezbollah e Israele per lo scambio dei prigionieri – l’occasione della guerra, la possibilità finora eslusa da Olmert e perdipiù esplicito riconoscimento degli Hezbollah. Va da sé che la durata della tregua dipende dalla verità di questo annuncio e dal risultato del possibile «scambio». Ma non è escluso, come del resto sta accadendo, che durante la tregua aumenterà l’azione distruttiva di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza e non solo – tantopiù che Olmert ormai rivede il ritiro unilaterale dalla Cisgiordania verso la scelta, per ora, di nessun ritiro. La centralità della questione palestinese influirà sulla tregua e sulla tensione nell’area verso la Siria. Non dimentichiamo che alla fine lo stop alla guerra israeliana in Libano è venuto dallo stesso Bush preoccupato che quelle stragi portassero, nel disastro di Baghdad, alla definitiva rottura tra gli Usa e gli sciiti iracheni.