La realizzazione della risoluzione 1701 dell’Onu che dovrebbe garantire la pace sul confine fra Israele e il Libano non sta andando bene. Israele ha ancora poche migliaia di soldati in Libano, per la maggior parte dislocati nel raggio di centinaia di metri a Nord del confine libanese. La previsione fino ad ora era stata, e non è stata smentita ufficialmente, di un ritiro totale entro Yom Kippur, che inizia sabato. Ma negli ultimi giorni le cose sono incerte. C’è chi parla di un rinvio. Alcuni ufficiali del comando Nord, dopo una riunione congiunta fra Israele, esercito libanese e Unifil – nonostante Amir Peretz, il ministro della Difesa, seguiti a confermare l’uscita – hanno parlato di fallimento della riunione, di diversa interpretazione della 1701, e quindi del rinvio. Perché nonostante la presenza dell’esercito libanese il Sud non avrebbe cessato di essere un pericoloso ««Hezbollahland», di nuovo in movimento per preparare armi e retrovie per Nasrallah.
L’Unifil, la forza internazionale dispiegata dall’Onu in Libano per garantire all’esercito libanese la possibilità di neutralizzare gli Hezbollah e prendere il controllo del confine, sembra avere interpretato le regole di ingaggio in maniera minimalistica. Già nelle settimane scorse era risultato chiaro che dopo la guerra le armi iraniane avevano seguitato ad affluire dalla Siria nelle mani degli Hezbollah. Ieri si è parlato di passaggio via mare, oltre che per aria e terra. Giovedì scorso alcune centinania di Hezbollah sono apparsi al confine israeliano, con bandiere gialle e slogan antisraeliani, e hanno gettato pietre senza che l’Unifil abbia battuto ciglio. Un subitaneo flashback sulla vecchia, discreditata Unifil che ha avuto funzione di scudo umano per la grande forza militare che gli Hezbollah hanno costruito dal 2000.
Solo ieri gli israeliani, come se fossero improvvisamente diventati consapevoli che questi avvicinamenti al confine portano poi a rapimenti e aggressioni, hanno comunicato che in futuro reagiranno con gas lacrimogeno e spari in aria e alle gambe. Israele sa che la risoluzione 1701 non è perfetta, e che comunque dovrebbe sradicare lo stato di Nasrallah e restituire il sud del Libano al suo legittimo padrone. Ma di restituire i soldati rapiti (anche questo è nella risoluzione) non si parla; e Bashar Assad, mentre proponeva in un’intervista una nuova linea di pace con Israele, pure trovava il tempo di minacciare l’Europa di non perdere tempo nel tentare di disarmare gli Hezbollah; intanto Nasrallah a Beirut ricordava che ha ancora 20mila missili. Non pochi, per di più ne accumula di nuovi.
In questo quadro, il generale Alain Pellegrini, capo dell’Unifil, ha dato martedì un’intervista al Jerusalem Post, in cui c’erano notizie buone e cattive. Le buone: l’esercito libanese aveva appena intercettato un camion siriano pieno d’armi per Nasrallah. Le cattive: no, non avrebbe ordinato automaticamente alle sue truppe di aprire il fuoco sugli Hezbollah neppure se fossero stati scoperti diretti verso la Linea Blu per attaccare Israele. Il ruolo della forza multinazionale, ha detto, è quello di assistere l’esercito libanese, non di disarmare gli Hezbollah, e neppure di prevenirne gli attacchi. Pellegrini ha invece accusato Israele: «Non ha nessuna giustificazione per i suoi voli sul Libano, devono finire».
Olmert,che mai ammetterà uno smacco, ha commmentato che l’Unifil ha bisogno di tempo, e deve rassicurare i Libanesi. Ma il sospetto basilare che l’integralismo islamico alimentato dall’Iran non verrà affrontato, che gli Hezbollah non se ne andranno, non saranno disarmati nè impediti dal ricostruire la loro forza armata, si accompagna a notizie preoccupanti da Gaza, dove Hamas e i loro amici hanno accumulato in questi mesi tonnellate di dinamite tramite una rete enorme di tunnel fra Gaza e l’Egitto in stile Hezbollah, mentre ricominciano a piovere i Kassam sul sud. Per il Libano, ci dicono importanti ufficiali, invece di premere sull’Unifil, Israele propone nuove regole internazionali che controllino con check point seri la zona più a Nord, fra Beirut e Tiro, in cui potrebbero essere piazzati missili della gittata di 250 chilometri, che possono arrivare fino a Tel Aviv e che quindi sono una minaccia strategica.