Israele caccia anche Tutu

Israele chiude la porta in faccia all’arcivescovo sudafricano e premio Nobelper la pace Desmond Tutu, l’uomo che subito dopo Nelson Mandela è il più noto nel mondoper la lotta all’apartheid. Il religioso cristiano non ha ottenuto dal governo di Ehud Olmert – il premier israeliano tra qualche ora verrà accoltocon grandi onori e abbracci fraternidaRomanoProdi – l’autorizzazione a compiere una visita a Gaza per indagare per conto dell’Onu sulla strage dell’8 novembre a Beit Hanoun, dove 19 civili palestinesi – in gran parte donne e bambini – vennero uccisi nel sonno e altre decine feriti dalle cannonate cadute, per errore secondo l’esercito israeliano, sulle loro case. «E’ molto penosa la mancanza di cooperazione da parte del governo israeliano», ha affermatocon amarezza Tutu durante una conferenza stampa tenuta ieri a Ginevra. Il no all’arcivescovo è giunto mentre nelle stesse ore l’ex presidente americano JimmyCarter ribadiva la tesi contenuta nel suo ultimo libro «Palestine: peace not apartheid»: Israele impone nei Territori occupati palestinesi un sistema di apartheid che a volte è peggiore di quello che un tempo vigeva in Sudafrica. Ieri, parlando ai microfoni della radio israeliana, Carter ha affermato che «quando Israele occupa il territorio della Cisgiordania inmodo così esteso, unisce tra di loro i 200 insediamenti (ebraici) con una strada e poi proibisce ai palestinesi di usare quella strada o inmolti casi persino di attraversarla, di fattoimponeesempi di regime separato, oapartheid, peggioridiquelli che abbiamo visto in Sudafrica ». Carter che nel 1978 ospitò il summit di Camp David che si concluse con gli accordi di pace tra Israele e l’Egitto, si è anche lamentato per il fatto di essere diventato bersaglio di critiche e polemiche feroci in Israelementre il suo libro avrebbe dovuto aprire un dibattito sulla questione delle forme di apartheid che si stanno materializzando nei Territori occupati. DesmondTutu era stato incaricato dalla Commissione dell’Onu sui diritti umani di recarsi a Beit Hanoun assieme ad altre cinque persone per «valutare la situazione delle vittime, i bisogni dei superstiti », formulare raccomandazioni sui modi e i mezzi per proteggere i civili palestinesi contro ulteriori attacchi israeliani e «presentare un rapporto entro la metà di dicembre». La delegazione avrebbe dovutopresentare i risultati della sua indagine venerdì prossimo al Consiglio per i diritti umani dell’Onu. «Pensavamo, e pensiamo ancora, che c’era una speranza che la nostra visita ed il nostro rapporto avrebbero potuto in qualche modo contribuire alle possibilità di pace nel Medio oriente», ha affermato Tutu in una dichiarazione congiunta con la professoressa britannica Christine Chinkin, un altro membro della missione. Entrambi hanno spiegato di aver rinunciato ad entrare nella Striscia di Gaza passando dall’Egitto, ovvero attraverso il valico di Rafah, poiché questo avrebbe precluso la possibilità di discutere con la parte israeliana e quindi non avrebbe consentito a «tutte le parti» di fornire il loro contributo alla missione. L’arcivescovo, che nel 1995 aveva presieduto la Commissione sudafricana «Verità e riconciliazione» stabilita dopo la fine del regime di apartheid, ha aggiunto di aver aspettato invano il visto israeliano fino alla fine della settimana passata e che poi è stato costretto a rinunciare. «Avevamo accettato l’incarico in tempi velocissimi e per questo abbiamo anche cancellato precedenti impegni per renderci disponibili a questo compito e poter consegnare il rapporto entro la metà di dicembrema non è servito», ha aggiunto l’arcivescovo. «Non abbiamo dato a Tutu e al resto della missione una risposta negativa – ha provato a spiegare Mark Regev, portavoce del ministero degli esteri israeliano – la nostra decisione finale era ancora in sospeso. Abbiamo sentito che sono stati loro a decidere di non venire ». Regev ha negato che il governo israeliano avesse unproblemacon il fatto che l’inchiesta dell’Onu fosse guidata da un simbolo della lotta all’apartheid,masolo con il fatto che la commissione avesse il mandato di investigare le presunte violazioni dei diritti umani commesse dagli israeliani manon quelle commesse dai palestinesi. «Non abbiamo un problema con le personalità, macon le istituzioni», ha concluso.