Rami Khouri, uno dei più apprezzati analisti arabi, ieri ha chiamato in causa la storia dalle pagine del Daily Star di Beirut. Il mese di marzo 2007, ha scritto, forse verrà ricordato come un punto di passaggio per l’Islam politico in questa parte di Medio Oriente. «Forze islamiste per la prima volta si ritrovano al potere dopo aver raggiunto accordi con quei regimi e partiti laici con i quali sono stati sempre in aperto conflitto», ha notato con una certa soddisfazione a proposito degli sviluppi in Palestina e quelli possibili in Libano, sottolineando che per gli islamisti governare significa fare i conti con la realtà sul terreno e con i meccanismi della diplomazia.
Ma non è detto che il nuovo governo palestinese di unità nazionale, al quale con 83 voti favorevoli e tre contrari – quelli del Fronte popolare (sinistra), che contesta ciò che definisce il «compromesso storico» finalizzato al controllo del potere raggiunto da Hamas e Fatah – ieri il Consiglio legislativo ha dato la fiducia (alla votazione non erano presenti 41 deputati in carcere in Israele), riuscirà finalmente a governare i Territori occupati. Il boicottaggio internazionale dell’Anp è ancora in atto, nonostante qualche timido segnale di flessibilità giunto dall’Europa, ed inoltre la posizione di rifiuto espressa da Israele avrà un peso enorme. «Israele non riconoscerà e non lavorerà con questo nuovo governo né con nessuno dei suoi membri», ha dichiarato Miri Eisin, la portavoce della presidenza del consiglio dei ministri. «Il nuovo governo (palestinese) continua sulla linea del precedente: non riconosce Israele», ha aggiunto. «Ci attendiamo – ha concluso – che la Comunità internazionale continui a mantenere in modo chiaro le sue richieste per una rimozione dell’embargo: riconoscimento dello Stato ebraico, rinuncia alla lotta armata e riconoscimento degli accordi stipulati tra Israele e Olp.
Nelle settimane passate il ministro degli esteri Tzipi Livni aveva avvertito l’Europa: in caso di una revoca, anche parziale, dell’isolamento dell’Anp, Israele reagirà bloccando i contatti che ha con i palestinesi «moderati», ovvero il presidente Abu Mazen. È presumibile che Tel Aviv si affidi anche alle pressioni delle comunità ebraiche in Europa per consolidare l’appoggio alla sua linea ma non tutti gli ebrei europei appaiono disposti ad agire il quel senso.
Un gruppo di ebrei italiani ieri ha rivolto un appello all’Ue e ai suoi leader affinché venga sospeso il boicottaggio nei confronti del governo palestinese. «Dopo la vittoria di Hamas alle elezioni dello scorso anno – è scritto nel loro comunicato – il governo israeliano ha continuato a delegittimare ogni possibile interlocutore palestinese». L’Unione europea e i suoi leader, prosegue il documento, «dovrebbero chiedere ad Hamas di dichiarare la sua volontà di riconoscere Israele quando Israele si ritirerà entro i confini precedenti l’occupazione della Cisgiordania nel ’67, come stabiliscono le risoluzioni Onu». Per il momento dall’Europa si registra solo qualche segnale interessante, ma insufficiente a cambiare la rotta. Il ministero degli esteri britannico ha definito il nuovo esecutivo «un passo verso la giusta direzione», la Norvegia ha informato i palestinesi, almeno così afferma il ministro Mustafa Barghouti, che riconoscerà il governo Hamas-Fatah e qualche indicazione positiva giunge da altre capitali europee (Roma prende tempo e attende che a decidere siano gli altri). L’Amministrazione Bush è allineata sulle posizioni di Israele ma ha fatto sapere che avrà contatti con il ministro delle finanze Salam Fayyad, un ex funzionario del Fmi che considera un «amico». In casa palestinese è opinione diffusa che l’accordo di unità nazionale, figlio delle intese raggiunte all’inizio di febbraio alla Mecca, sia fortemente vincolato alla revoca delle sanzioni e al riconoscimento internazionale. In caso di un insuccesso su quei punti centrali, una o più componenti del governo potrebbero puntare l’indice proprio contro Abu Mazen, incapace di ottenere il consenso di Stati Uniti ed Europa nonostante gli sforzi fatti dai palestinesi. Non bisogna sottovalutare la complessità del programma del nuovo esecutivo, che sembra uscito da un laboratorio di politica. Ieri prima del voto di fiducia Abu Mazen si è schierato «contro ogni forma di violenza», Haniyeh invece ha riaffermato «il diritto dei palestinesi a resistere in ogni forma», quindi anche armata all’occupazione israeliana. Ma è evidente che Hamas ha compiuto enormi compromessi rispetto alla sua linea originaria e, fatto altrettanto importante, ha rinunciato al controllo della politica estera, che lascia ad Abu Mazen e all’Olp. Ha scelto però i ministeri sociali che permettono un lavoro in profondità nella società palestinese.