Isolato, il Libano cerca di rimettere su casa

La tregua è cominciata il 14 agosto, ma il blocco navale e aereo imposto da Israele attorno al Libano continua: le navi israeliane continuano a pattugliare la costa, l’aviazione continua a sorvegliare lo spazio aereo. Salvo qualche volo commerciale autorizzato a dirigersi all’aereoporto di Beirut, e qualche nave con cargo destinati alle agenzie umanitarie internazionali, il Libano è isolato. Se ne lamenta il premier libanese Fouad Siniora, e si capisce: come può avviare la ricostruzione un paese isolato?
Il Libano si sforza tornare alla normalità. Ieri le agenzie umanitarie delle Nazioni unite hanno detto che gran parte delle persone sfollate durante le ostilità sono tornate nelle loro città o villaggi: un milione di persone era stato costretto a fuggire le proprie case. Ora nei ripari allestiti in tutto il paese restano circa 3.000 persone. Quasi tutti sono tornati nei propri luoghi, sì, ma non a casa: perché le case sono distrutte, o danneggiate, o disseminate di piccole bombe inesplose. Il governo libanese ha calcolato che circa 15mila abitazioni siano state distrutte nei 34 giorni del conflitto tra Israele e Hezbollah, e molte altre sono danneggiate.
Dunque oltre 250mila persone sono ora senza tetto. E lo resteranno per qualche tempo, ha osservato ieri la signora Reem al Salem, portavoce del Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur): «Solo il 60 o 70 percento degli sfollati ha potuto tornare alle proprie case. Gli altri sono ospiti di altre famiglie, o in villaggi vicini». Soprattutto nel Libano meridionale: «Il problema è che le case sono distrutte, o è troppo pericoloso rientrarvi per gli ordigni inesplosi. Ripulire e ricostruire richiederà tempo».
Le bombe inesplose: gli esperti in esplosivi delle Nazioni unite hanno contato 249 bombardamenti di cluster bomb, bombe a grappolo (che disseminano piccoli ordigni: non tutti esplodono toccando terra, restano come fossero mine anti-uomo); dal 14 agosto le bombe inesplose hanno già ucciso 8 persone e ferito 38. Anche per questo Human Rights Watch e Amnesty International accusano Israele di aver violato le leggi internazionali, mirando deliberatamente alla popolazione civile. Israele ha fatto sapere di aver dato alle forze delle Nazioni unite (Unifil) le mappe di dove sono state lanciate le bombe a grappolo.
Per il Coordinatore degli interventi umanitari dell’Onu in Libano, David Shearer, sostenere il ritorno a casa degli sfollati è la priorità numero uno. Così le agenzie umanitarie stanno correndo a distribuire tende, teli di plastica per rappezzare tetti danneggiati, tank per l’acqua potabile: perché l’altro problema è l’acqua. I bombardamenti hanno devastato tubature sotterranee e infrastrutture di superfice, così acqua e fognature sono saltate. Nella città meridionale di Tiro sono senza acqua e fogne 42 villaggi su 70. La mancanza di acqua potabile è un elemento che può spingere a rinviare il ritorno a casa.
A Beirut restano così centinaia di sfollati in alcune scuole: sono soprattutto della zona meridionale della città, quella più distrutta dai bomberdamenti: e quando hanno voluto tornare, non c’era una casa dove rientrare. Troveranno presto sistemazioni meno precarie: in effetti stanno aspettando i risarcimenti che Hezbollah ha cominciato a distribuire, 12mila dollari a ogni famiglia che possedeva una casa e l’ha persa, perché possa affittare un altro alloggio finché sarà stato possibile ricostruire.
Mercoledì il premier Siniora ha annunciato che il governo libanese compenserà i proprietari di case e imprese che sono state distrutte. Ma Hezbollah è arrivato prima, è un fatto, e ha già avviato il suo programma di risarcimenti con la sua organizzazione Jihad al-Bina, «jihad per la costruzione»: i suoi addetti hanno cominciato a fare stime e pianificare interventi di ricostruzione. Da dove vengano i fondi, Hezbollah non dice: indica solo facoltosi libanesi della diaspora in Africa, America Latina e Stati uniti (tutti scommettono che anche l’Iran abbia contribuito).
Più difficile sarà riavviare le attività economiche, a parte l’edilizia: perché quel blocco bavale e aereo significa ora che ogni merce deve arrivare via terra. E sono soprattutto le piccole imprese e commerci che soffrono.