Il capitolo parasubordinati è uno dei più caldi nella finanziaria: non ha creato gli scontri registrati per la riforma del fisco o del tfr, ma tocca da vicino milioni di lavoratori, giovani e non, senza affrontare direttamente il problema della modifica della legge 30 (quello sì, avrebbe creato contrasti). L’aumento dei contributi dal 18,20% al 23% – con un incremento di 4,80 punti percentuali – sembra ormai scontato, e si dovrebbe realizzare già a partire dal prossimo anno. Il governo lo presenta come una misura per avvicinare il costo del lavoro «flessibile» a quello stabile, dissuadendo (è la tesi) le imprese dallo scegliere i contratti a progetto al posto dei dipendenti per un semplice calcolo di abbattimento dei costi. Il problema è che, così come l’ha disposta l’esecutivo, questa riforma potrebbe avere un costo minimo per i datori di lavoro, ed essere scaricata invece sui già martoriati cocoprò. A guadagnare sulle spalle dei precari, sarebbero ovviamente le casse dell’Inps, grazie a un più alto ammontare di contributi versati. Cerchiamo di spiegarci.
Secondo i calcoli del Nidil Cgil, oggi un lavoratore parasubordinato costa dal 40% al 60% in meno di un dipendente, pari a circa 10 mila euro medi risparmiati da parte del datore di lavoro ogni anno (il compenso lordo medio è di circa 12 mila euro annui, pari a 9500 netti). Se passasse la riforma disegnata dal governo, a compensi immutati (a parte l’inflazione), il «risparmio» tra dieci anni scenderebbe a 7 mila euro: dunque minore, ma sempre molto conveniente. Il nodo compenso è infatti un problema chiave, come spiega Roberto D’Andrea, del Nidil: «Se vengono innalzati solo i contributi, essendo i compensi decisi unilateralmente dalle imprese, è possibile che il datore scarichi l’aumento dei contributi sui lavoratori a progetto, abbassando il compenso». Questo fenomeno è avvenuto – lo conferma una ricerca del Nidil su dati Inps – tutte le volte che i diversi governi hanno innalzato le aliquote. Poiché i contributi sono per due terzi a carico del datore e un terzo a carico del cocoprò, l’impresa abbassa il netto erogato per riaggiustare rispetto ai maggiori contributi.
L’aumento dei contributi dei cocoprò potrà garantire la maternità a rischio (ovvero staccare al quarto mese, oggi hanno solo la maternità normale) e la malattia con decorso domiciliare (oggi vieni retribuito solo se sei assente per ricovero ospedaliero: se ti ammali e resti a casa, non ricevi alcun compenso). Ma è ben poca cosa: «Il lavoratore resta ricattabile, nella maggior parte dei casi eviterà, se può, di restare a casa per malattia o maternità perché rischia il licenziamento – spiega l’esponente del Nidil – Noi avevamo chiesto che si parificassero i compensi ai livelli dei contratti nazionali, ma su questo non abbiamo avuto risposta. Come non sappiamo se il ministro Damiano intenda parificare del tutto i contributi, arrivando – tra contributi e compensi pieni – almeno alla parificazione dei costi con i dipendenti, come recita il programma dell’Unione. Per ora sembra che la finanziaria stabilisca solo una norma secondo cui il compenso lordo deve essere più alto di quello dell’anno precedente, ma è chiaramente una formula troppo debole per essere efficace».
Caldo anche il capitolo pensioni: Cgil, Cisl e UIl hanno firmato un «memorandum» di intesa per affrontare a un tavolo successivo la riforma che vorrebbe attuare il governo. «Nel testo non si parla né di coefficienti né di aumento dell’età pensionabile – assicura Morena Piccinini, segretaria confederale Cgil – ma il governo ci ha detto che vuole affrontare questi temi. Diciamo subito che non siamo d’accordo a ridurre l’entità delle future pensioni, né ci sembra necessario alzare l’età pensionabile. Sulla chiusura delle finestre del 2007 giudicheremo quando vedremo il testo definitivo della finanziaria, e se ci saranno tagli ci sarà la giusta reazione. Piuttosto parliamo di eliminare lo scalone Maroni e dei contributi dei precari. Questi lavoratori devono avere gli stessi compensi, contributi e diritti dei dipendenti. Come obiettivo di legislatura chiediamo di riscrivere tutte le norme sul lavoro: la Cgil porterà avanti le proposte di legge firmate da 5 milioni di cittadini, che parlano di ricondurre tutto il lavoro economicamente dipendente sotto un’unica tipologia, superando la divisione tra subordinati e parasubordinati».