Iraq, tutti i colori del caos

A una tacca dal caos. Questa la situazione in Iraq al 18 ottobre, secondo il grafico realizzato dal Central Command statunitense. E da allora le cose sono, se possibile, peggiorate. Con i 102 morti americani che fanno del mese appena trascorso il quarto con il bilancio peggiore dall´inizio della guerra. L´illustrazione non potrebbe essere più drammatica ed efficace. Al polo sinistro della barra colorata, in verde, la “pace”. All´estremo destro, rosso sangue, il “caos”. Così si esprimono i vertici dei militari sul campo, nella tabella che accompagna il rapporto sull´”Indice di conflitto civile”. Un documento per uso interno, segretissimo, pensato solo per gli occhi del generale John Abizaid, il più alto in carica in Iraq, che doveva discuterne a Washington con il presidente George Bush e il segretario alla difesa Donald Rumsfeld. E che invece è finito, un paio di settimane dopo, nelle mani del New York Times. Provocando l´immediata reazione della Casa Bianca: «È solo un´istantanea che si riferisce al periodo di Ramadan, quando le violenze erano al loro apice» ha minimizzato il portavoce Tony Snow. Mentre il presidente, in un´intervista radiofonica, si è scagliato contro queste continue fughe di notizie: «Come comandante in capo sono molto preoccupato che i nostri segreti vengano fatti circolare e che il nemico venga a sapere come conduciamo la guerra».
Nello stilare il rapporto il direttorato dell´intelligence sotto la supervisione del generale John Custer ha tenuto conto di diverse variabili. E a ognuna ha appiccicato un colore che desse conto della tendenza, da “stazionaria” a “critica” (la voce “in diminuzione” non era neppure prevista). Tra i peggioramenti più sensibili, ad esempio, c´è la sempre più scarsa presa dei leader moderati sulla popolazione. Oppure la violenza motivata da differenze confessionali, quella faglia tra sunniti e sciiti che allarma da tempo. O ancora l´inefficacia della polizia locale, di cui sempre ieri il Wall Street Journal denunciava le infiltrazioni crescenti da parte dei miliziani sciiti. Nell´analisi dei militari Usa il passaggio da allarme giallo ad arancione, nel codice cromatico che ricalca quello usato dalla Homeland Security, è avvenuto a febbraio scorso. In coincidenza con il bombardamento della moschea sciita di Samarra che ha spalancato le porte delle rappresaglie settarie. E da lì in poi le cose sono andate solo peggiorando. Sino alla rottura del tabù con la prima ammissione di agosto, da parte del generale Abizaid, del «rischio di guerra civile» che però poteva essere «ancora evitata».
Una posizione dalla quale la Casa Bianca non arretra. Gli incidenti legati a violenze tra fazioni e le vittime, insiste il portavoce Snow, sono calati del 23% tra il 21 e il 27 ottobre. A Bagdad questo numero è sceso addirittura del 41%. Insomma, negli ultimissimi giorni un piccolo miglioramento ci sarebbe stato. Morale: «L´unica possibilità per noi di perdere è se molliamo e ce ne andiamo prima che il lavoro sia completo». A rimarcare il punto il presidente ha espresso ieri piena fiducia al capo del Pentagono Rumsfeld, bersaglio di un fuoco incrociato intensificatosi alla vigilia delle elezioni di midterm con i democratici che ne chiedono la testa: «Mi aspetto che resti al suo posto sino al termine del mandato». Ovvero altri due anni. E ha aggiunto che i comandanti sul terreno in Iraq non gli hanno chiesto rinforzi e che quindi «i livelli degli organici attuali sono quelli giusti». Per vincere. Nonostante che tutti gli indicatori, soprattutto quelli che dovevano rimanere altamente classificati, sostengano il contrario.