L’Iraq è sull’orlo di una guerra civile? Così dicono i massimi dirigenti dell’esercito degli Stati uniti, e così dice anche – in separata sede – l’ambasciatore del regno unito a Baghdad. Del resto l’Iraq ieri ha registrato il bilancio ormai abituale di alcune decine di morti e decine di feriti: 10 per una bomba in un mercato di Baghdad, tre in una sparatoria a un matrimonio, altre vittime in attacchi a convogli militari o ufficiali di polizia irachena, feriti nella sparatoria a un checkpoint americano che ha fermato un convoglio di segueci di Moqtada al-Sadr…
Le agenzie di stampa ormai parlano di un centinaio di morti al giorno in media tra Baghdad e il resto del paese, e gli episodi di violenza definita «settaria» (tra sciiti e sunniti) sembrano fare più vittime degli attacchi della resistenza (sunnita).
Questa almeno è l’opinione espressa ieri dal generale John Abizaid, comandante delle forze degli Stati uniti nel Medio oriente: «Credo che la violenza settaria sia la giù grave mai vista, in particolare a Baghdad, e se non sarà fermata è possibile che l’Iraq precipiti nella guerra civile», ha detto alla commissione sulle forze armato del Senato, a Washington. Nella stessa audizione è stato sentito anche il generale Peter Pace, capo di stato maggiore delle forze armate: anche lui ha detto che la situazione «può evolvere in una guerra civile».
Soprattutto, i due generali ha detto che la violenza a Baghdad rende difficile ridurre il numero di truppe americane in Iraq, ora circa 133 mila. «E’ possibile immaginare una certa riduzione delle truppe, ma credo che sia più importante che il governo iracheno stabilisca il controllo su Baghdad», ha detto Abizaid. Su questo però incalzavano le domande dei senatori; il presidente della commissione John Warner, repubblicano, ha fatto presente che il Senato potrebbe riesaminare l’autorizzazione data alla guerra irachena «se ci troveremo di fronte a una guerra civile. Ha tagliato corto il segretario alla difesa Donald Rumsfeld (anche lui sentito dalla commissione senatoriale): la possibilità di ritirare un po’ di truppe dipende dalla valutazione dei comandanti sul campo. Proprio la settimana scorsa il Pentagono ha promesso al primo ministro iracheno in visita a Washington di inviare tremila soldati di rinforzo, per aiutare la polizia irachene a riprendere il controllo di Baghdad dominata da milizie e bande criminali.
Il quadro tracciato dai generali Usa è negativo. Ma lo è ancor più quello tracciato dall’ambasciatore britannico a Baghdad, William Patey, in un cablogramma diretto al primo ministro Tony Blair e in qualche modo arrivato alla Bbc. «La prospettiva di una guerra civile a bassa intensità e di una divisione de facto dell’Iraq è a questo punto assai più probabile che quella di una transizione riuscita e reale verso una democrazia stabile», scrive l’ambasciatore. «Anche l’aspettativa ridimensionata del presidente Bush per l’Iraq – un governo autosufficente che sia un alleato nella guerra al terrorismo – rimane in dubbio».
Patey aggiunge: una delle forze che minaccia di far precipitare l’Iraq nella guerra civile è la milizia del mullah sciita Moqtada al-Sadr. «Se vogliamo evitare la guerra civile e l’anarchia, impedire all’Esercito del Mahdi di diventare uno stato nello stato, come hanno fatto gli Hezbollah in Libano, è una priorità». E dire che secondo Blair, il senso del messaggio del suo ambasciatore è che la Gran Bretagna deve mantenere il suo impegno in Iraq.