Iraq, Saddam Hussein sfida i giudici: «Non ho paura di essere giustiziato»

Terzo round a Baghdad del processo a Saddam Hussein (limitato per ora all’uccisione di 140 civili nella cittadina di Dujail), in una atmosfera che si riscalda di volta in volta: l’ex-raìs ha duramente contestato il presidente della Corte, con toni veementi, ed è entrato in scena per la prima volta come suo difensore l’ex ministro della giustizia americano Ramsey Clark.
In un certo senso un salto di qualità, una conferma sia dei dubbi suscitati in molti ambienti dal tipo di processo e dalla evidente non imparzialità della Corte sia della linea di condotta di Saddam che disconosce i suoi giudici e rivendica la sua qualità (e i suoi diritti) di presidente dell’Iraq illegalmente rovesciato da una invasione straniera. Non senza colpi di scena, come l’abbandono dell’aula da parte del collegio di difesa e la conseguente sospensione dell’udienza, ripresa poi in un clima ancora più teso.
Il tribunale ha detto Saddam Hussein rivolgendosi direttamente al presidente – è illegale perché è stato insediato dagli occupanti americani: «Non ho paura di essere giustiziato, condannatemi e facciamola finita», ha gridato alzandosi in piedi; ed ha poi aggiunto: «Lunga vita allo Stato arabo, lunga vita all’Iraq». La contestazione effettuata in modo così clamoroso dall’ex-raìs è stata ripetuta in termini giuridici dai suoi difensori, i quali avevano abbandonato l’aula perché il presidente non aveva loro consentito di esporre preliminarmente le loro eccezioni, sia sulla legittimità o meno del collegio giudicante sia sulla insufficiente protezione garantita agli avvocati che difendono Saddam e gli altri imputati. Va ricordato che due avvocati del collegio di difesa sono stati assassinati dopo la prima udienza mentre altri sono stati minacciati e hanno addirittura lasciato l’Iraq. Dopo una breve sospensione, la Corte ha ripreso l’udienza dando la parola all’americano Ramsey Clark e a un altro legale, ma soltanto per pochi minuti. Ramsey Clark è stato assistente procuratore generale con Kennedy, vice-procuratore generale e poi titolare dell’ufficio con Johnson; lasciati gli incarichi di governo si è poi dedicato alla difesa dei diritti umani rendendosi protagonista di casi clamorosi ed anche scottanti come quello dell’ex-presidente jugoslavo Slobodan Milosevic. Recatosi molte volte in Iraq dopo la guerra del 1991 per denunciare con forza le sanzioni, è stato una delle ultime personalità occidentali di rilievo a incontrare Saddam a Baghdad prima della invasione americana del marzo 2003. Nella udienza di ieri è cominciata anche la escussione dei testimoni, che è un altro dei motivi del contendere tra la
difesa e il tribunale. E’ previsto infatti che diversi testimoni depongano nascosti da uno schermo «per ragioni di sicurezza», ma i difensori obiettano che questo rende precaria, se non impossibile, la loro identificazione e inficia dunque la credibilità e validità
delle loro deposizioni. Ieri comunque è stato ascoltato un abitante di Dujail che si è presentato a volto scoperto. Visibilmente emozionato, ha detto che dopo il fallito attentato a Saddam nel 1982 «nel nostro villaggio giunsero forze massicce come se ci fosse una guerra» e che ne seguì il massacro per rappresaglia. Saddam Hussein lo ha interrotto, accusandolo di riferire cose sentite da terzi; a sua volta il presidente del tribunale ha interrotto Saddam orinandogli di restare in silenzio. Un susseguirsi di incidenti, insomma, che lascia immaginare quello che potrà succedere quando (e se) si passerà ad altri processi per accuse ben più gravi dell’episodio di
Dujail. Il teste di ieri fra l’altro, Ahmed Hassan Mohammed al-Dujaili, è un noto esponente del partito sciita Al Dawa, secondo per
importanza dopo lo Sciri di Al Sistani, ed è questa un’altra ragione per cui la difesa ne contesta la attendibilità.
Il processo iniziato il 19 ottobre, dovrebbe proseguire per altri due giorni per sentire altri testimoni.
Poi si vedrà.