Bush e Cheney portarono l’ America in quella guerra che sta devastando una nazione e consumando più vite americane di quante furono perse l’ 11 settembre, senza «una seria discussione», senza prove, con boriosa leggerezza ideologica. Fra tutte le accuse, le rivelazioni, le autogiustificazioni, raccolte dall’ ex direttore della Cia George Tenet nelle 594 pagine delle sue attesissime memorie che usciranno in libreria lunedì prossimo e che il New York Times ha letto in anticipo, nessuna è insieme tanto banale e tanto agghiacciante come l’ affermazione che una Presidenza americana s’ imbarcò nella avventura più catastrofica di questa generazione senza realmente discutere, senza avere altre prove che quelle cucite e tagliate ad arte per giustificare l’ invasione. Dopo dozzine di libri, di memorie, di ricostruzioni che ormai da tempo documentano l’ incompetenza, l’ ignoranza e il tragico dilettantismo di questa Presidenza travolta dal panico dell’ 11 settembre, le memorie del personaggio che stava “Al centro della bufera”, come si chiama il libro, del direttore della Cia fra il 1997 e il 2004, aggiungono una tessera desolante al mosaico: la malafede. Mentre il pubblico americano e quello internazionale erano abbindolati con menzogne sulle armi di Saddam, sul complotto terroristico tramato fra Iraq e Al Qaeda per il quale nessuno elemento serio mai emerse e con promesse di utilizzare la guerra soltanto come «ultimo ricorso», il direttore dell’ apparato di intelligence americana ci dice che la decisione di invadere per cambiare quel regime, era stata presa da tempo e lui, la Cia, doveva fornire la stampella. Come tutte le autobiografie, anche questa di George Tenet, oggi professore all’ Università di Georgetown offre naturalmente un punto di vista, una verità, e non necessariamente la verità, su quella marcia verso la follia. Ma se di fronte alla guerre perdute, gli orfani tentano sempre di disconoscere la maternità del disastro, le memorie di Tenet coincidono con quanto anche allora era ben conosciuto in tutta Washington: l’ esistenza di una furibonda rissa interna tra i potentati e i palazzi del potere americano, tra il Pentagono di “Rummy” Rumsfeld e di “Wolfie” Wolfowitz, ora celebre per i calzini bucati e la protezione della sua favorita alla Banca Mondiale, la Casa Bianca di Dick “Dart Fener” Cheney, il Dipartimento di Stato di Powell e la Cia di Tenet. Tra gli ideologi vogliosi di cogliere l’ occasione dell’ 11 settembre per estendere il “secolo americano” al nuovo Millennio e cambiare a piacere i regimi canaglia, e i funzionari dell’ intelligence e della diplomazia, che puntavano i piedi e diffidavano di tanta magniloquente retorica. Tenet, che era l’ unico alto commesso dello Stato sopravvissuto dalla Presidenza Clinton, aveva tentato di resistere, come Powell. Ricorda che «nessuno discusse mai seriamente la realtà della minaccia irachena» né affrontò la possibilità di contenere e ridurre Saddam all’ impotenza «senza lanciare una guerra», anche se lo stesso Tenet dice ora di avere pensato che realmente Saddam potesse avere arsenali devastanti. La decisione era stata presa, e ai professionisti dell’ intelligence, Bush, e soprattutto Cheney, chiedevano soltanto di fornire elementi a supporto, anche quando non esistevano. «Quando Bush lesse il documento finale di intelligence sulla minaccia irachena, molto cauto e generico, fu lui a suggerirci di farlo rivedere e riscrivere da un avvocato penalista, da qualcuno capace di massaggiare i fatti e rendere ogni dettaglio più sensazionale». E Tenet, per conservarsi il posto di direttore, obbedì. Massaggiarlo e montarlo «sarà facile come fare una schiacciata» rispose, una frase presa dal gergo cestitistico, «slam dunk», che la Casa Bianca prese fuori dal contesto e che gli rivoltò contro, accusando lui di essere stato lo spacciatore di notizie false. «Mi diedero in pasto al pubblico come colui che giustificò la guerra con quelle due parole» dice ora George Tenet «perché quelli non erano uomini d’ onore, erano uomini spregevoli intenti a dimostrare quello che volevano e a distruggere chiunque dissentisse». E se l’ ex direttore della Cia salva, un poco, Bush, definendolo «un uomo di convinzioni forti, un presidente che si è sforzato di essere un leader in un momento difficile» è chiaro che il suo disprezzo si dirige verso Dick Cheney, l’ onnipotente vice, e a quella gang di ideologi cosiddetti neo con che avevano in lui il proprio punto di riferimento. Da questo calderone di odi reciproci, oggi riesplosi nel duello fra il Congresso che chiede il ritiro entro il 2008 e la Casa Bianca che li accusa di disfattismo e promette di porre il veto alla legge sul ritiro, nacque il documento detto National Intelligence Estimate gonfiato e manipolato alla maniera di un’ arringa processuale, che fu dato al Parlamento per strappare il sì alla guerra. Tenet vuole certamente salvare sé stesso e il proprio buon nome, dalla palude irachena e dal disastro di questa presidenza, non avendo avuto il coraggio di parlare quando sarebbe servito davvero, e finisce con un avvertimento che è forse, di tutte le condanne, la più spaventosa: «Al Qaeda è ancora lì, nell’ ombra e sono certo che sta preparando qualcosa di orrendo contro di noi». Saddam è morto, ma al Qaeda vive. «Il presidente valutò seriamente tutte le possibilità e tutte le ipotesi, prima di decidere», ha risposto piccata la Casa Bianca ieri, ma la verità dell’ uomo che dovette fabbricare le prove per la guerra in Iraq ormai è in libreria. Neppure la “Medaglia presidenziale per la Libertà” che Bush gli appuntò subito dopo le dimissioni nel 2004 per tenerlo buono, è riuscita a farlo tacere.