Se la verità è la prima vittima della guerra, secondo il classico detto, il suo corollario è che la figlia primogenita delle guerre è sempre la propaganda. Questo orrendo pasticcio iracheno non poteva essere l´eccezione e i comandi americani sono stati sorpresi con il dito nel barattolo della informazione falsificata. Con molto imbarazzo ufficiale e qualche indignazione pubblica anche dei poveri senatori repubblicani costretti ormai ogni giorno a fare i pompieri della Casa Bianca, i comandi militari americani hanno dovuto ammettere che i «progressi in Iraq» raccontati dai media iracheni erano spot pubblicitari a pagamento, pubblicati da giornali e giornalisti comprati.
Per vedere uscire sui giornali di Bagdad qualche puff piece, come si chiamano nel gergo giornalistico americano, qualche pezzo alla panna, gli americani dovevano pagare reporter e direttori, in contanti, niente carte di credito nel nuovo Iraq. «Questa è anche una guerra di propagande opposte», si giustifica l´alto Comando «e noi dobbiamo ribattere al nemico colpo su colpo».
Nel linguaggio e nella prassi del giornalismo americano o europeo, questo genere di articoli scritti su misura per un cliente, sono legittimi ma si chiamano «pubblicità redazionale» e devono chiaramente e per legge essere segnalati come tali e identificati come «pubblicità». E questa è stata infatti la prima giustificazione data dall´alto comando delle truppe di occupazione. «Abbiamo comperato spazio sui quotidiani principali per offrire il nostro punto di vista e per diffondere notizie alternative alla propaganda del terrorismo e dell´antiamericanismo».
Purtroppo, insieme con lo spazio, l´agenzia di pubblicità e di pubbliche relazione americana, il Gruppo Lincoln, aveva comperato anche gli autori degli articoli e i loro direttori. La linea di demarcazione fra pubblicità e cronaca, già vacillante anche nelle nazioni più rigorose, si era sfumata fino a evaporare. Sulle prime pagine dei quotidiani corrotti erano pubblicati finti reportage senza nessun avvertimento scritti dai dipendenti della società americana di p.r. o da disponibili sherpa locali. Nulla di scandaloso, le solite, trite storie di «popolazione festante che saluta i liberatori», di villaggi «che tornano a vivere e sorridere», di «ospedali che finalmente funzionano» accogliendo pazienti e puerpere irachene, di valorosi «balilla» sciiti o sunniti o curdi che si scagliano contro i terroristi o, più saggiamente, li «denunciano alla nuova polizia» che li cattura, tra gli applausi degli anziani del villaggio.
Tutte cose già viste in ogni guerra, e in ogni epoca.
Propaganda che i cittadini afgani (come i russi) dovevano sorbirsi negli anni dell´occupazione sovietica e che gli ordini di servizio diffusi dai comandi militari a Saigon così riassumevano nel 1968: «Ci sono soltanto due tipi di servizi che noi possiamo diffondere, le storie dei terroristi vietcong uccisi e le storie dei nostri soldati che comprano di tasca loro medicinali per i bambini vietnamiti». Ma questo, come ci viene ripetuto, non è il Vietnam. E´ una guerra per portare «la democrazia nel cuore del Medio Oriente» e cambiare la testa e la storia di quella zona, secondo l´ultima edizione della solita Strategia per la Vittoria che la Casa Bianca ripete da tre anni.
Dunque l´idea che le nuove leve di giornalisti iracheni vengano formati a colpi di stecche e bustarelle, secondo le peggiori e antiche tradizioni dello pseudogiornalismo di regime, ha indignato anche uno dei grandi falchi del Senato, il senatore John Warner, presidente della commissione Forze armate. «Sono profondamente preoccupato e turbato da queste pratiche», ha brontolato. Il senatore Ted Kennedy è intervenuto per accusare il Pentagono di «menzogne e tattiche indegne». Ma persino la fedelissima Fox News, braccio televisivo del bushismo più militante, l´ha presa male. «Questa pratica è contraria a tutto ciò che ci viene insegnato e che cerchiamo di insegnare agli altri», si è scaldato l´anchorman Neil Cavuto.
Al solito, come ormai in troppe occasioni per poterle elencare tutte, dagli orrori di Abu Grahib all´uso letale del fosforo su Falluja, dalla pratica di disperdere segretamente prigionieri in nazioni dove la tortura è possibile alla conquista definitiva di villaggi che devono essere ribombardati e riconquistati, i comandi militari e civili hanno prima smentito e poi ammesso. E questo di comperare reporter è un vizietto che Bush pratica anche in patria, come si vide quando un giornalista televisivo confessò di avere preso 250 mila dollari dal governo per appoggiarlo e molte tv locali ammisero di mandare in onda servizi cucinati e confezionati direttamente dalla Casa Bianca, come se fossero fatti da loro.
Negli ultimi mesi, incoraggiati dalla fame di soldi che le dozzine di giornali nuovi e fragili sbocciati a Bagdad, in un segno effettivo della voglia di informare e di sapere della gente, le penne fantasma del Gruppo Lincoln avevano eliminato anche l´intermediario. Molti servizi erano scritti e tradotti direttamente a New York e poi piazzati sulle pagine a pagamento, anonimi. «Erano anonimi per evitare agli autori le rappresaglie mortali della guerriglia», hanno spiegato dall´ufficio stampa del Lincoln Group. Dunque, scrivere un pezzo per dire che la situazione sta migliorando in qualche villaggio o quartiere, comporta un rischio di morte per il cronista. Un sintomo sicuro del «continuo progresso», quasi tre anni dopo la liberazione. Ma purtroppo del nemico. Undici soldati iracheni, dopo 14 militari americani, sono caduti nelle ultime 48 ore. Nessuno dovrà essere pagato per scriverlo.