Iraq, domino di guerra

Accuse saudite a Usa e Iran. Migliaia di profughi fuggono in Siria

Migliaia di profughi iracheni fuggiti dai villaggi a pochi chilometri dalla Siria, in particolare da al-Qaim, investiti dai bombardamenti e dall’offensiva americana nella valle dell’Eufrate, nell’estremo ovest dell’Iraq a maggioranza sunnita, hanno attraversato il confine e cercato ospitalità presso parenti e membri dei loro stessi clan con cittadinanza siriana. Altri, meno fortunati, si sono accampati lontano dai centri abitati senza cibo o generi di conforto. Altri ancora sono rimasti sotto i bombardamenti. La Mezzaluna rossa irachena ha inviato ieri nella zona un convoglio con tende, acqua, latte, medicine ma le autorità di occupazione si sono rifiutate di far entrare i soccorsi nei centri abitati più colpiti. Le organizzazioni umanitarie irachene hanno così lanciato ieri un appello alla comunità internazionale affinché intervenga per evitare che si ripeti anche lungo il confine con la Siria quel disastro umanitario verificatosi il mese scorso a Tal Afar. Si ignora – ma dovrebbe essere piuttosto elevato – il numero delle vittime irachene nei centri bombardati dagli aerei e da una vera e propria flottiglia di elicotteri che, in formazioni di venti, trenta, stanno investendo i villaggi e le cittadine irachene di al Qaim, Haditha, Haqlaniyah, Karabila e Barwana. La drammatica situazione umanitaria e l’evidente impossibilità per gli abitanti sunniti dell’ovest dell’Iraq a votare (e votare no) contro la nuova costituzione made in Usa, nel prossimo referendum del 15 ottobre, ha suscitato ieri la dura protesta dello stesso speaker della camera irachena, il moderatissimo e filo-Usa, Hajim al Hasani il quale ha chiesto una sospensione delle operazioni militari, «almeno per il periodo elettorale». E proprio il piano Usa di «dearabizzare» l’Iraq e di dividerlo in tre enclave etniche e confessionali, oltre al tentato colpo di mano del governo curdo-sciita pro-occupazione – ieri rientrato dopo l’intervento dell’Onu – per cambiare la legge elettorale e rendere impossibile una bocciatura della costituzione da parte della comunità sunnita e dagli sciiti anti-occupazione, sembra abbiano fatto traboccare il vaso della pazienza dei paesi arabi, sunniti e filo-Usa, confinanti con la Mesopotamia. Le dure critiche della Lega araba alla nuova costituzione e la denuncia del ministro degli esteri saudita, Feisal al Saud, di un’emarginazione totale della comunità sunnita irachena hanno provocato la dura e razzista risposta del ministro degli interni iracheno, Bayan Jabr – esponente dello Sciri, il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq, sciita filo-Iran e filo-Usa- «non prendiamo lezioni da un qualche beduino a cavallo di un cammello». Ne è seguita una sollevazione dell’opinione pubblica e della stampa del Golfo che hanno denunciato l’alleanza Usa-Iran contro i sunniti iracheni e «gli arabi» e soprattutto il fatto che «Washington ha dato l’Iraq all’Iran su un piatto d’argento». La successiva proposta della Lega araba di inviare una delegazione a Baghdad per avviare «una riconciliazione nazionale» tra sunniti e sciiti e tra favorevoli e contrari all’occupazione è stata già respinta con sdegno dal governo di Baghdad, forte del sostegno di Usa, Gb e Iran e ieri il ministro degli esteri di Tehran, Manouchehr Mottaki, ha annullato una prevista visita in Arabia saudita «per incomprensioni sulla vicenda irachena». Parallelamente si è aperto un altro fronte, sempre sull’Iraq, tra Gran Bretagna e Iran. Fonti anonime ma autorevoli del Foreign Office inglese hanno accusato ieri l’Iran di aver fornito ad un gruppo dissidente sciita staccatosi dal movimento di Moqtada al Sadr il know how (simile a quello elaborato dalla resistenza islamica libanese degli Hezbollah) per colpire con insolita efficacia i blindati inglesi provocando la morte di otto soldati di sua maestà. Intanto a Baghdad, mentre a Hilla veniva colpita da un’autobomba una moschea sciita con 25 morti, è tornato a farsi sentire, dopo un lunghissimo silenzio, il vice presidente iracheno Izzat Ibrahim, ancora alla macchia. In una lettera aperta alla «resistenza e al partito Baath» l’esponente iracheno ha invitato i suoi compatrioti ad intensificare la campagna contro gli occupanti, a non aver alcun contatto con gli Usa o i loro agenti ma soprattutto a «respingere i tentativi di seminare quelle divisioni settarie che vanno solo a favore degli occupanti».