Iraq, costituzione etnica e confessionale

I partiti curdi e sciiti al governo trovano un accordo per cancellare l’unità del paese e avviarne la divisione in patrie etniche e confessionali. Contro i sunniti, gli sciiti e i laici «nazionali»

Il presidente Bush, sempre più in difficoltà nei sondaggi, ha avuto ieri, all’undicesima ora, una bozza di costituzione irachena che, approvata solamente dai partiti sciiti e curdi al governo favorevoli all’occupazione, con l’esclusione dell’intera comunità sunnita e dei settori sciiti e laici «nazionali», si avvia a rendere ancora più esplosiva la situazione del paese e ad avvicinare la liquidazione dell’Iraq come stato arabo unitario. Il documento, redatto dall’ambasciatore «neocon» americano Zalmay Khalilzad -già autore della costituzione «islamica» dell’Afghanistan – e consegnato domenica per ulteriori aggiustamenti ai leader sciiti e kurdi nel corso di un incontro fiume di dieci ore all’ambasciata Usa, ricalca la costituzione provvisoria del paese redatta nel marzo scorso dal professore americano Noah Feldman. Come già quel documento la nuova carta costituzionale – che andrà sottoposta al voto del parlamento nelle prossime ore e poi a referendum a metà ottobre – nega il carattere «arabo» dell’Iraq – uno dei paesi fondatori della Lega Araba – impone alla Mesopotamia un federalismo così estremo da gettare le premesse per una divisione del paese in tre enclave – una curdo-Usa- israeliana nel nord, una sunnita nel centro e una sciita-filoiraniana nel sud, le tre «zone di non volo» istituite dagli Usa nei primi anni novanta – ma con un ancora più accentuato carattere «islamico», non tanto nel considerare l’Islam come una delle principali fonte del diritto – formulazione sulla quale pochi dissentono in Iraq (anche perché come nel caso del Marocco di per sé questa potrebbe accompagnarsi ad una legislazione rispettosa dei diritti umani) quanto nell’assegnare ai chierici sciiti, e alla loro interpretazione della Sharia, un ruolo diretto in una futura Alta Corte.

L’ambasciatore Usa ha dovuto faticare non poco per mettere d’accordo i partiti filo-Usa al governo, dal Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq, lo Sciri filo-iraniano, all’ala filo-Usa del partito islamista sciita «al Dawa» del premier Ibrahim al Jafari ai due principali partiti curdi il Fronte democratico del Kurdistan e l’Unione patriottica del Kurdistan decisi a dividersi le spoglie del paese e a consolidare a livello costituzionale quel potere che, ricevuto dagli occupanti al momento dell’invasione, hanno poi ferocemente imposto con le loro milizie alla popolazione irachena nel sud e nel nord del paese. I curdi hanno così dovuto accettare un rinvio ad una fase successiva della definizione dei meccanismi per una secessione dal resto dell’Iraq e un rinvio al 2007 del completamente della pulizia etnica a Kirkuk con la cacciata della popolazione (maggoritaria) araba e turcomanna, mentre lo Sciri ha finito per accettare la definizione dell’Islam come «una delle principali fonti» del diritto invece che «la fonte» di ogni legislazione. Sul delicato tema della divisione delle risorse petrolifere la bozza di costituzione stabilisce che le risorse petrolifere andranno divise tra il governo centrale e nuove future regioni praticamente indipendenti sancendo la scomparsa di qualsiasi welfare pubblico e di un esercito nazionale in grado di mantere l’unità del paese e di difenderne gli interessi nei confronti di potenti, aggressivi e armatissimi vicini come l’Iran e la Turchia, per non parlare di Israele, indebolendo ancor più lo già scassato fronte arabo. Scompare inoltre dal testo costituzionale, a differenza della precedente costituzione provvisoria del 1970, qualsiasi garanzia dei diritti delle varie minoranze etnico-religiose non più menzionate nella Carta fondamentale.

La decisione dei partiti al governo di non tenere conto delle posizioni dell’intera comunità sunnita – oltre il 20% della popolazione- i cui pochi membri presenti nella commissione per la Costituzione (15 su 74) sono stati del tutto emarginati ed esclusi dai lavori, degli sciiti «laici» dell’ex premier Iyad Allawi, degli sciiti radicali di Moqtada al Sadr, e di tutti i partiti e i movimenti nazionalisti arabi non potrà ora che aggravare ulteriormente il conflitto in corso in Iraq, rafforzare e espandere la resistenza «nazionale» all’occupazione. Anche la vicenda della costituzione appare come la logica conclusione della folle decisione Usa di «dearabizzare» l’Iraq escludendo da ogni posto di potere la comunità sunnita e i settori sciiti e laici contrari all’occupazione portata avanti dallo scioglimento dell’esercito nazionale e dalla sua sostituzione con le milizie dei partiti curdi e integralisti sciiti filo-Usa, alla formazione del primo governo provvisorio, alle elezioni farsa del trenta gennaio scorso. L’emarginazione della comunità sunnita che tanto pesa nello sviluppo della resistenza all’occupazione appare quindi non come un «incidente» ma parte essenziale di quel percorso istituzionale imposto dagli occupanti per legittimare la loro presenza militare e il saccheggio delle risorse del paese. I pochi e moderati negoziatori sunniti presenti-assenti nella commissione hanno denunciato domenica nel corso di una conferenza stampa la loro esclusione e annunciato una mobilitazione di tutte la comunità per arrivare ad una bocciatura della nuova costituzione nel corso del referendum di metà ottobre. La Carta infatti potrebbe essere bocciata nel caso dovesse essere respinta con una maggioranza di due terzi in tre province: i sunniti sono in larga maggioranza in quattro province e se, come sembra probabile anche il leader sciita radicale Moqtada al Sadr dovesse pronunciarsi per il «no» anche il voto nella capitale sarebbe tutt’altro che certo. Se la costituzione dovesse essere bocciata allora l’intero processo ricomincerebbe da capo. Il tutto all’infinito. Naturalmente in entrambi i casi ogni potere resterà nelle mani degli occupanti: un’«endless strategy» senza «exit».