Iraq, colpito anche il «Palestine»

Costituzione in bilico: bocciata da due province, tutto dipenderà ora da Mosul dove però il «no» denuncia brogli e soprusi

Tre potentissime esplosioni hanno scosso ieri sera la cittadella fortificata sulla sponda orientale del Tigri attorno all’hotel Palestine e allo Sheraton, una volta famosi per la presenza della stampa internazionale e da diversi mesi soprattutto foresteria per soldati Usa e contractors. Le vittime, tutti membri della sicurezza, sarebbero almeno diciotto, i feriti un centinaio. Erano passate da due minuti le 17,40, l’ora della rottura del digiuno del mese sacro del Ramadan quando, per le strade deserte attorno a piazza al Firdus (la piazza del paradiso) – dove nell’aprile del 2003 venne organizzato il set televisivo per l’abbattimento ad opera degli americani e dei loro ascari locali, della statua di Saddam Hussein – si è sentita una prima, potentissima, esplosione. Un’auto bomba era saltata in aria dietro la piccola moschea dalla cupola blu, sfondo di innumerevoli collegamenti televisivi, nei pressi dell’ hotel «al Sadeer», noto per ospitare mercenari di vari paesi. Due minuti dopo un’altra auto, proveniente dalla deserta Saadoun street, esplodeva contro gli alti muri di cemento che circondano il Palestine e lo Sheraton e nel varco così aperto è entrato poco dopo un camion betoniera carico di esplosivo e guidato da un altro attentatore suicida. Quest’ultimo, percorsi alcune decine di metri lungo la strada, in leggera salita, tra i due alberghi, si è fatto saltare in aria schiantandosi contro un carro armato Usa Bradley di guardia. L’esplosione, enorme, terrificante, ha scosso il Palestine e lo Sheraton danneggiando gravemente il piano terra dei due alberghi e facendo saltare gran parte dei vetri, delle porte e degli arredamenti delle camere esterne che davano sulla strada. Il comando americano ha parlato anche di alcuni razzi e ha negato che vi siano morti o feriti tra le sue truppe. Una tesi difficile da credere vista la presenza attorno ai due alberghi di personale di sicurezza Usa. Se il comunicato non fosse preciso, gli Usa avrebbero registrato in questo attentato il duemillesimo soldato sacrificato sull’altare di George Bush. Il complesso dello Sheraton e del Palestine e del vicino Baghdad Hotel costituisce ormai da mesi una piccola roccaforte sulla riva sinistra del Tigri – proprio davanti alla «green zone», la città proibita Usa dall’altra parte del fiume – tra la centralissima Saadoun street e il noto lungofiume di Abu Nawas – con la statua di Sherazade e gli, una volta affollati e ora in rovina, bar e ristoranti di pesce. Da tempo i due alberghi, costruiti negli anni ottanta in vista di un boom del turismo che non ci sarebbe mai stato per lo scoppio della guerra con l’Iran, avevano acquistato una fama sinistra, non tanto per la pessima cucina, ma piuttosto per l’aspetto lugubre e per la loro altezza che li ha resi sempre un facile obiettivo. Lo Sheraton era stato da poco costruito quando venne danneggiato da un missile iraniano caduto li a pochi metri e da allora la sua vita è stata segnata da una lunga serie di nefasti incidenti come quando uno dei suoi spettacolari ascensori esterni si abbattè al suolo con una coppia di sposi e un certo numero di invitati venuti a festeggiarli. Non da meno il Palestine che l’8 aprile del 2003 venne colpito da una cannonata sparata da un carro armato Usa dal vicino ponte al Joumuriya che uccise il giornalista spagnolo José Couso e un suo collega ucraino e subito dopo, con l’occupazione, insieme allo Sheraton, sarebbe diventato spesso facile obiettivo per i comunque imprecisi tiri di mortaio della resistenza e per le autobombe che mai però erano riuscite a superare, come ieri, le alte mura di cemento poste a difesa dei due hotel.

L’attentato di ieri è venuto nel giorno nel quale la Commissione elettorale ufficiale per il referendum dello scorso quindici ottobre sulla nuova costituzione «made in Usa» – del quale ancora non si sa il risultato definitivo – ha fatto sapere che due province a maggioranza sunnita, Anbar (Falluja, Ramadi) e Salaheddin (Trikrit) hanno respinto con oltre i due terzi dei voti la Carta che divide il paese in tre entità etnico-confessionali. Sulla base della legge elettorale – varata dagli Usa – se una terza provincia dovesse dire no con oltre i due terzi dei voti la costituzione verrebbe respinta. Questa potrebbe facilmente essere la provincia di Ninive, con la sua capitale Mosul, a gran maggioranza arabo-sunnita. Ma proprio da lì è giunta ieri la denuncia dei rappresentanti del «no» che hanno parlato di vasti e gravissimi brogli tesi a negare loro una vittoria ormai sicura.