La situazione «è veramente brutta» in Iraq e «occorre un nuovo approccio», ha ammesso ieri il presidente George W. Bush. Ma l’inquilino della Casa bianca ha detto di non essere ancora pronto ad annunciare il cambiamento di rotta.
All’indomani della presentazione del rapporto Baker-Hamilton, Bush ha ammesso che in Iraq «le cose vanno male». La situazione «è grave e deteriorata», ha detto al termine dell’incontro alla Casa bianca con il premier britannico Tony Blair citando la relazione dell’Iraq Study Group, che ha definito «molto costruttiva», tanto da meritare «un approfondimento serio». Gli Stati uniti, ha detto poi, sono disposti ad accogliere la Siria e l’Iran ai colloqui sull’Iraq ma solo se questi due paesi sospenderanno gli aiuti agli estremisti e si impegneranno a sostenere il governo di Baghdad.
Il capo della Casa bianca non ha escluso il ritiro delle truppe all’inizio del 2008, come suggerito dalla commissione Baker-Hamilton, «se le condizioni lo consentiranno». «Dobbiamo essere flessibili e realistici nel definire i programmi», ha osservato.
Su un’eventuale apertura degli Stati uniti a Siria e Iran, Bush ha detto che Tehran e Damasco «debbono comprendere le loro responsabilità e non finanziare i terroristi, aiutare questa giovane democrazia a sopravvivere, aiutare l’economia del paese».
Bush è tornato a escludere trattative dirette con gli iraniani sul loro controverso programma nucleare: «Non c’è bisogno di isolare il vostro popolo. Non c’è bisogno di continuare con questa ostinazione… se fossero d’accordo a sospendere in modo verificabile il loro dell’uranio, gli Stati uniti saranno al tavolo delle trattative con i nostri partner».
Bush, infine, ha espresso il suo pieno «appoggio alla missione» che Blair gli ha annunciato effettuerà al più presto in Medioriente. «È importante per noi far progredire la causa di due stati che vivono pacificamente fianco a fianco aiutando entrambe le parti a superare gli ostacoli sulla strada della pace», ha concluso Bush, facendo riferimento ad un altro suggerimento contenuto nel rapporto dell’Iraq Study Group.
Riferendosi alle violenze quotidiane in Iraq, Bush ha ripetuto il suo solito refrain: ha sottolineato che «l’aumento della violenza settaria non è accidentale e non dipende da una strategia difettosa ma è piuttosto il risultato diretto degli estremisti esterni che agiscono in combutta con i terroristi interni: Al Qaeda con gli insorti sunniti e l’Iran con la milizia sciita – per fomentare l’odio e soffocare alla nascita la possibilità di una democrazia non settaria».
Ha poi avuto parole d’apprezzamento per il rapporto dei «dieci saggi», definito «molto costruttivo». «L’ho persino letto», ha scherzato «e lo ha letto anche Blair». Ma ha ribadito di considerarlo solo uno dei diversi rapporti destinati alla sua scrivania: anche i militari stanno per consegnarli un rapporto, così come gli esperti del Dipartimento di Stato e anche gli specialisti della Casa Bianca. «Anche il Pentagono ha il diritto di dare i suoi suggerimenti», ha osservato il presidente.
Proprio l’altroieri il Senato ha votato a stragrande maggioranza, per 95 voti a 2, per la conferma dell’ex capo della Cia Robert Gates a nuovo ministro della difesa al posto del sempre più isolato Donald Rumsfeld.
Il premier britannico Tony Blair ha dal canto suo concordato che il rapporto Baker/Hamilton offre «una forte indicazione» sulla strada da percorrere per affrontare la situazione in Iraq. Nel frattempo l’ex segretario di stato James Baker, comparso ieri al Congresso per testimoniare sulle 79 proposte del rapporto, ha detto che il pacchetto di suggerimenti non è una «macedonia» dove ognuno può pescare quello che vuole: si tratta di una strategia coordinata ed omogenea, che non può essere attuata solo a strappi.
Una fonte della Casa Bianca, citata ieri dal quotidiano Wall Street Journal, sottolinea che Bush non si sente assolutamente vincolato dal contenuto del rapporto e che è improbabile che adotti molte delle 79 raccomandazioni compresa quella di aprire il dialogo diretto con Siria ed Iran.