Iraq, Bush sblocca nuovi rinforzi

Più truppe in Iraq, più menzogne sui legami fra Saddam Hussein e Osama bin Laden. La prima notizia è un’indiscrezione raccolta dalla Nbc, che data la sua lunga tradizione di «soffiate» poi risultate vere merita di essere presa sul serio. Le menzogne invece sono ufficiali, nel senso che le ha dette pubblicamente Dick Cheney, il vice presidente che ormai sembra abbarbicato alla «sua» realtà come i famosi danzatori sul ponte del Titanic. L’indiscrezione della Nbc dice che la «surge» di 21.500 uomini decisa recentemente non basta. Ce ne vogliono altri 12.000 per la cui spedizione si aspetta solo la firma di Robert Gates, l’uomo che ha sostituito il genio Donald Rumsfeld alla guida del ministero della Difesa.
Il piano prevede che i nuovi soldati vengano reperiti fra le guardie nazionali di alcuni stati, ancora sconosciuti, con il che la differenza già ampiamente ignorata fra quella sorta di «eserciti locali» e le forze armate propriamente dette viene definitivamente eliminata. Ai tempi del Vietnam l’arruolamento nella guardia nazionale del proprio stato era un espediente per imboscarsi perché le possibilità di finire in guerra erano scarsissime. Come si sa ne approfittò George Bush che si arruolò in Texas, ne approfittò l’ex vice di suo padre Dan Quayle che si arruolò nell’Indiana e tanti altri giovanotti con padri abbastanza importanti da farli «avanzare» ai primi posti delle lunghe liste di gente che cercava di entrare nella guardia nazionale, mentre in Vietnam finivano quelli che – privi di padri potenti – ricevevano la cartolina precetto.
Adesso che la leva obbligatoria non c’è più e le forze armate sono «professionali» è tutto il contrario: essere nella guardia nazionale – un corpo che principalmente ha il compito di far fronte alle calamità naturali o magari alle sommosse (accadde ai tempi delle lotte per i diritti civili) – è diventata una specie di garanzia per ritrovarsi in Iraq, perché questa avventura ha ridotto al lumicino le disponibilità di avvicendamento. Ne sanno qualcosa due brigate partire recentemente (anche questa l’ha raccontata la Nbc) che siccome non c’era tempo hanno dovuto «saltare» le quattro settimane di addestramento nel deserto di Fort Irwin, in California, finora considerate indispensabili. Fino a ieri non c’erano reazioni a questa ulteriore «surge» (ma forse troveranno un altro nome), probabilmente perché la cosa non è ancora ufficiale e il ministro Gates la sua firma non l’ha ancora messa. Ma dopo tutto ciò che è successo dalle elezioni in poi c’è da aspettarsi un altro confronto tosto fra Congresso e Casa bianca.
Quanto alle menzogne sul pre-guerra, la performance di Dick Cheney ha avuto luogo nella trasmissione radiofonica di Rush Limbaugh, uno al cui confronto Emilio Fede che intervista Berlusconi sembra un irriverente provocatore. Sollecitato dalle sue domande ad hoc, Cheney ha ribadito la «verità inoppugnabile» che al Qaeda aveva strettissimi rapporti con Saddam Hussein, che Abu Musab al-Zarqawi si era stabilito in Iraq «ben prima che noi arrivassimo sulla scena» anche se poi «naturalmente, guidò la carica contro di noi fino al giugno scorso, quando lo abbiamo ucciso». C’era chi si chiedeva il perché di questa nuova uscita di Cheney per ribadire una bugia che ormai è stata catalogata come tale senza la minima misericordia e si chiedeva se non ci fosse un problema di pura sanità mentale, ma poi una risposta più «razionale» della sua nuova sparata è venuta con la notizia che è stato tolto il segreto a un rapporto interno del Pentagono in cui il suo ispettore generale, Thomas Gimble, rimarca che basandosi sugli interrogatori cui sono stati sottoposti gli ex collaboratori di Saddam Hussein e sui documenti governativi sequestrati a Baghdad dopo l’invasione è del tutto da escludere l’esistenza di «significativi rapporti» fra il governo iracheno e al Qaeda ed anzi si accusa di «comportamento inappropriato» Douglas Feith, l’uomo che durante la preparazione della guerra aveva il compito di «interpretare» le informazioni della Cia e di dare loro il significato che voleva. Il compito dell’ispettore generale era quello di accertare se ci fosse stato «dolo» nel mettere insieme quelle false informazioni. Ma su questo la sua conclusione è che «nessuna illegalità» fu commessa. Douglas Feith, insomma, dal punto di vista legale è a posto. La sua condanna, se deve esserci, può essere solo etica e politica.
Cheney, che evidentemente sapeva che quel rapporto stava per diventare pubblico, ha voluto mettere le mani avanti, non tanto per confutare il suo contenuto quanto per dare «una scaldata» alla audience di Limbaugh, che di sicuro fa parte della minoranza che ancora crede alle favole sue e di George Bush.