Drammatico appello dell’ostaggio ma Canberra rifiuta la trattativa. Riesplodono i contrasti tra leader curdi
Bucarest spera Il presidente Traian Basescu annuncia in Tv che i tre giornalisti e l’interprete rapiti a Baghdad: «sono sicuramente vivi»
Per il quarto giorno consecutivo una raffica di autobombe ha colpito check point, agenti e ufficiali delle nuove milizie irachene e delle forze di occupazione uccidendo almeno una cinquantina di iracheni, tra soldati, agenti e passanti, due soldati americani e un militare britannico a Bassora. Tutto ciò in un giorno nel quale l’unica manciata di deputati collaborazionisti sunniti eletti al parlamento ha minacciato di dimettersi e nel quale si sono nuovamente agitate le acque all’interno del fronte curdo tra il Pdk di Massoud Barzani e l’Upk di Jalal Talabani sulla designazione del nuovo presidente dell’entità autonoma nel nord dell’Iraq costituita dalle tre province di Dohuk, Arbil e Suleimaniya. Il contrasto che sta dividendo la lista unitaria curda secessionista, che ha conquistato oltre settanta deputati all’assemblea nazionale lo scorso 30 gennaio, riguarda i meccanismi con i quali dovrà essere eletto il nuovo leader dell’entità autonoma: il Pdk, sicuro del suo maggior seguito tra la popolazione chiede che avvenga per voto diretto mentre il Puk che sia designato dall’assemblea regionale. Il dissidio è arrivato al punto che Massoud Barzani ha minacciato di ritirare dal nuovo governo «parziale» di Ibrahim Jafaari i quattro ministri del suo partito. L’insediamento di Jafaari dovrebbe avvenire entro il prossimo sette maggio ma non è chiaro se per quella data il premier designato riuscirà a trovare qualche collaborazionista sunnita disposto ad imbarcarsi nel nuovo esecutivo curdo-sciita. Le trattative per la formazione del governo anche ieri hanno avuto luogo nella protettissima «zona verde», mentre per la città esplodevano almeno tre autobombe e si accendevano violente sparatorie. Un’auto carica di esplosivo si è lanciata contro un convoglio militare nel quartiere commerciale di karrada semidistruggendo un palazzo, un’altra contro un posto di blocco delle milizie collaborazioniste irachene nella zona di Zaytuna, una terza contro il convoglio del capo delle «squadre speciali» del ministero degli interni, il generale Rashid Flayeh (uno dei protagonisti del pasticciato tentato golpe del 1996 contro Saddam Hussein). Quest’ultimo, al comando di oltre 10.000 uomini, la scorsa estate ha ricevuto dall’allora ambasciatore di Washington, John Negroponte, carta bianca nell’usare contro la resistenza gli stessi metodi e gli stessi uomini del passato regime. Un esperimento questo dei commando antiguerrglia al quale gli Usa non sembrano disposti a rinunciare tanto che, di fronte al proposito del nuovo premier Ibrahim Jafaari, di riprendere il processo di «debathizzazione», lo stesso Rumsfeld è volato a Baghdad ricordando alla coalizione sciita che in ogni caso gli ex agenti e ufficiali che ora lavorano per gli Usa «non si toccano» e così i loro reparti. L’attentato di ieri al generale Rashid Flayeh, il secondo in quattro giorni, ha ucciso alcune sue guardie del corpo ma avrebbe solo ferito di striscio l’uomo di Washington. Sul tragico fronte degli ostaggi c’è da registrare la conferma, tramite un video messo in rete dai suoi rapitori, del sequestro di un cittadino australiano con residenza negli Usa, Douglas Wood, un contractor per l’esercito americano, il quale ha lanciato un appello accorato al presidente Bush, al premier australiano John Howard e al governatore della Florida (dove il rapito risiede con la moglie americana) Arnold Schwazenegger perché ritirino le truppe dall’Iraq. Il poveretto non aveva ancora terminato il suo appello quando il premier australiano Howard annunciava che il suo governo non «si piegherà mai al ricatto» del «Consiglio dei Mujaheddin dell’Iraq» che hanno rivendicato il sequestro. Silenzio invece sul destino dei tre giornalisti romeni e del loro sponsor-accompagnatore- interprete rapiti lo scorso 28 marzo a Baghdad. Ad una sempre più preoccupata opinione pubblica, il presidente romeno Traian Basescu ha sostenuto ieri di «essere sicuro che sono ancora in vita». Il governo iracheno ha intanto annunciato durante il fine settimana l’arresto di quattro fratelli, uno dei quali ex membro dei servizi del passato regime, nel villaggio di al Jamarra a casa dei quali sarebbero stati trovati alcuni effetti personali dell’operatrice umanitaria Margareth Hassan rapita e, probabilmente, uccisa nell’ottobre scorso.