Iraq, attentato multiplo. Mattanza a Baghdad

«È stata una brutta giornata per l’Iraq ma è ancora presto per trarre delle conclusioni sulle tendenze future» del funzionamento del piano di sicurezza di Baghdad. Questo il paradossale commento del portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Bryan Whitman, al termine di uno dei giorni più insanguinati che l’Iraq ha vissuto dall’occupazione anglo-americana. Per Washington è ancora presto per trarre delle conclusioni nonostante le quattro stragi che ieri hanno scosso la capitale irachena evidenziando il fallimento del governo di Nuri al Maliki. Almeno 168 persone sono rimaste uccise e 215 ferite in quattro attentati, il peggior bilancio di vittime da quando è in atto il piano di sicurezza varato da Maliki e dagli americani nei mesi scorsi.
L’attentato più grave è avvenuto ancora una volta nel mercato del quartiere di Sadriyah, dove un’autobomba è esplosa provocando almeno 116 morti. Le immagini trasmesse dalle televisioni irachene e arabe hanno mostrato scene già viste tante, troppe volte in Iraq ma che sono risultate ugualmente agghiaccianti: corpi straziati e anneriti, feriti insanguinati, la corsa delle ambulanze agli ospedali, le urla di disperazione dei sopravvissuti. Nel fumo degli incendi, mentre una tempesta di sabbia raggiungeva Baghdad, un uomo ha raccontato ad una tv locale di aver aiutato a recuperare «almeno cinquanta di corpi, in gran parte irriconoscibili, mutilati, carbonizzati». L’esplosione, causata da un ordigno di parecchi chili, è stata talmente potente da ridurre in macerie alcuni edifici. Ieri sera i vigili del fuoco erano ancora al lavoro per spegnere decine di incendi innescati dallo scoppio e per rimuovere tonnellate di calcinacci e macerie. Nello stesso luogo, il 3 febbraio, è stato segnato il macabro record del maggior numero di vittime in una singola esplosione: 135 morti e 300 feriti, con un camion-bomba imbottito con oltre una tonnellata di esplosivo. Le stesse scene di morte e distruzione si sono vissute a Sadr City, il principale quartiere sciita di Baghdad bersaglio frequente degli attacchi dei militanti sunniti, dove un attentatore suicida alla guida di un’auto imbottita di esplosivo, si è lanciato contro un posto di controllo della polizia: i morti sono stati almeno 33. Una terza autobomba, parcheggiata nei pressi di un ospedale di Karradah, è esplosa provocando la morte di 11 persone. Una bomba esplosa su un minibus nel quartiere di Risafi ha ucciso quattro persone, ferendone altre sei. Infine, quattro poliziotti sono stati uccisi in un agguato avvenuto nel sud della capitale. Ieri inoltre sono stati ritrovati per le strade di 25 cadaveri.
E pensare che la giornata era cominciata con una cerimonia in cui il premier Nuri al Maliki aveva fatto sapere che le autorità irachene intendono assumere la responsabilità della sicurezza in tutto il paese entro la fine dell’anno. Proprio ieri le forze britanniche hanno consegnato agli iracheni il controllo nella provincia meridionale di Maysan. Dopo Al Muthanna, Dhi Qar e Najaf, Maysan è la quarta delle 18 province del Paese che passa sotto il controllo del governo Maliki. Tra un mese sarà la volta delle tre province del Kurdistan. Dopo toccherà a quelle di Karbala e Wassit ed entro la fine dell’anno tutte le province saranno sotto la responsabilità irachena ma ciò non significherà la fine dell’occupazione e del controllo del paese da parte degli Stati uniti. L’impotenza del governo filo-americano infatti è palese. Il piano di sicurezza per Baghdad «Imporre la Legge», l’ultima spiaggia per Maliki, è fallito nonostante l’impiego di circa 90 mila uomini tra iracheni e americani, tra cui gran parte dei rinforzi inviati da George Bush dopo aver annunciato una «nuova strategia» all’inizio dell’anno.
Continua anche il dramma dei profughi e degli sfollati verso il quale il responsabile dell’Alto commissario dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), Antonio Guterres, ha chiesto ieri l’impegno della comunità internazionale, al termine della conferenza internazionale a Ginevra – che per due giorni ha riunito 450 rappresentanti di 60 governi, organizzazioni internazionali e non governative – sulla sempre più difficile situazione dei quasi 4 milioni di iracheni fuggiti a causa del bagno di sangue nel Paese. Diversi governi occidentali hanno riconosciuto che l’onere della crisi dei rifugiati iracheni grava soprattutto su paesi come Siria e Giordania ed alcuni hanno già annunciato contributi finanziari. La Germania destinerà 2,2 milioni di euro supplementari alla crisi e gli Stati uniti hanno indicato che aver già risposto con 18 milioni di dollari all’appello di 60 milioni di dollari dell’Unhcr. L’Italia intende destinare una quota del suo contributo all’International Reconstruction Fund Facility for Iraq’ – 10 milioni di euro – alle attività in favore del ritorno degli sfollati.