Terrificante massacro vicino al mausoleo di Al Khadymiya a Bagdad, durante il pellegrinaggio di un milione di persone
Mille morti e più di trecento feriti fra la popolazione sciita di Baghdad: questo il tremendo bilancio della giornata più nera vissuta dall’Iraq da quando il presidente Bush, il 1° maggio 2003, aveva incautamente dichiarato «finita» la guerra.
Il massacro è avvenuto intorno alla grande moschea di Al Khadimiya, alla periferia della capitale, dove era in corso un pellegrinaggio in memoria del settimo Imam della tradizione sciita, appunto Al Khadim, che lì è sepolto. Alcuni colpi di mortaio sparati sulla folla e la successiva voce che tra i pellegrini vi fosse un kamikaze pronto a farsi esplodere hanno provocato un fuggi fuggi di proporzioni immense; centinaia e centinaia di persone sono rimaste schiacciate nella ressa ed altre sono precipitate nel fiume Tigri per il cedimento della barriera di un ponte stracolmo di gente.
La tragedia è apparsa subito di enormi proporzioni, ma il bilancio è andato comunque salendo di ora in ora: prima 500 morti, poi 816, infine – secondo il ministro della Sanità Mohammad Ali – almeno mille, cui bisogna aggiungere non meno di 323 feriti. L’attentato che ha costituito l’antefatto della strage è stato rivendicato dal gruppo di Al Zarqawi, ma esponenti sciiti hanno accusato esplicitamente anche i «fedelissimi di Saddam».
E’ indubbiamente difficile non collegare quanto accaduto ieri con le travagliate vicende del progetto di Costituzione, approvato da sciiti e curdi e respinto dai sunniti; anche se ovviamente non si può stabilire un nesso meccanico fra i colpi di mortaio sparati sulla folla e la successiva esplosione di panico collettivo, anche perché fra i due episodi c’è stato un certo lasso di tempo.
Certamente i tiri di mortaio sui pellegrini sciiti erano una esplicita provocazione e miravano a suscitare panico o quantomeno una reazione da parte degli stessi sciiti; ma probabilmente le cose sono andate più in là delle aspettative degli attentatori.
Determinante sembra essere stata la paura di un eventuale kamikaze pronto a farsi esplodere fra la gente, paura che sembra essere stata alimentata da un provocatore sconosciuto il quale ha cominciato a urlare lanciando l’allarme e provocando così un fuggi fuggi che si è propagato come una travolgente onda di marea. Naturalmente non si può escludere che i due episodi – i tiri di mortaio, che avevano provocato sette morti, e il successivo allarme kamikaze – fossero collegati, come elementi di un unico progetto strategico.
Come che stiano le cose, il progetto resta evidentemente quello di spingere le sanguinose provocazioni contro gli sciiti – come quelle compiute in precedenza in altre moschee, a Baghdad come nel sud – fino a provocare una possibile guerra civile interconfessionale o interetnica (coinvolgendo in tal caso i curdi e magari anche la minoranza turcomanna) che avrebbe come conseguenza la disintegrazione dell’Iraq. Questo non è certo l’obiettivo dei gruppi della resistenza e nemmeno della comunità sunnita, la cui opposizione alla Costituzione «federalista» nasce proprio dalla preoccupazione di salvaguardare l’unità geografica e geopolitica del Paese; ma rientra certamente nei possibili progetti dei terroristi di Al Qaeda, i cui obiettivi vanno ben al di là dei confini dell’Iraq. Il che rende credibile la rivendicazione diffusa a nome del «Movimento al Qaeda in Iraq», cioè del gruppo che fa capo al giordano Al Zarqawi, un cui portavoce ha detto esplicitamente via Internet che «siamo stati noi» a sparare i colpi di mortaio sulla folla dei pellegrini. Meno credibile la rivendicazione, sempre su Internet, di uno sconosciuto «Esercito della setta vittoriosa», così come non ci sono al momento elementi che avvalorino l’affermazione di alcuni dirigenti sciiti – incluso il portavoce del Consiglio supremo della rivoluzione islamica (Sciri) – secondo cui responsabili dell’accaduto sono elementi «saddamisti», anche se l’ipotesi non può essere scartata a priori.
La grande moschea di Al Khadimiya sorge alla periferia di Baghdad in una zona densamente popolata; si tratta di un grande complesso, con le cupole d’oro e circondato da un alto muro che delimita uno spazio nel quale abitualmente bivaccano i pellegrini provenienti dal resto del Paese; al centro dell’edificio una gabbia d’argento racchiude la tomba di Al Khadim, intorno alla quale i pellegrini compiono ritualmente tre giri. Ieri verso la moschea-mausoleo affluiva una folla calcolata in almeno un milione di pellegrini, che aveva letteralmente invaso tutta la zona circostante. Già i tre o quattro colpi di mortaio avevano provocato attimi di sbandamento; il successivo grido, ripetuto di bocca in bocca, che uno o forse più kaimkaze erano pronti a farsi esplodere ha provocato il panico e il conseguente fuggi fuggi. La gente è scappata in tutte le direzioni con le terribili conseguenze che si è detto; ad aggravare le cose è venuto il cedimento della spalletta del vicino ponte sul Tigri, che ha fatto cadere in acqua centinaia di persone. La maggioranza delle vittime sarebbero donne e bambini. Il primo ministro Al Jaafari ha proclamato tre giorni di lutto nazionale. Ma la tragedia di Baghdad non è stata l’unico episodio di violenza della giornata. A Kirkuk ad esempio, nel nord curdo, un poliziotto è stato ucciso da una bomba e un altro è caduto in uno scontro a fuoco; e solo ieri è stato reso noto che a Tall Afar, vicino a Mossul, un soldato americano è stato ucciso sabato e un altro è morto martedì quando l’elicottero su cui si trovava è stato centrato da colpi sparati da terra.