Trentacinque gruppi politici iracheni di estrazione sunnita, sciita e laica hanno respinto ieri i risultati – ancora parziali – delle elezioni legislative del 15 dicembre, denunciando i brogli di cui si sarebbero rese responsabili le milizie dei partiti sunniti e sciiti filo-Usa e filo-Iran al governo, minacciando di boicottare i lavori del nuovo parlamento e chiedendo l’apertura di un’inchiesta internazionale sulle elezioni farsa del quindi dicembre. In un comunicato congiunto i gruppi dell’opposizione chiedono che l’inchiesta sia condotta da una Commissione con poteri assai vasti e in grado di convocare nuove elezioni: «Noi respingiamo totalmente i risultati falsificati delle elezioni e chiediamo un loro annullamento». I trentacinque movimenti e partiti chiedono poi l’apertura di un’inchiesta sulle «violazioni e sulle irregolarità che hanno inquinato il processo elettorale». Il comunicato fa quindi appello alla costituzione di una «Conferenza nazionale» che designi un’«Assemblea nazionale popolare» che sia «in sintonia con gli iracheni» e che quindi sia in grado di organizzare nuove elezioni credibili e obiettive. Se le richieste dei 35 gruppi venissero respinte, si legge infine nel comunicato, non resterebbe «altra scelta che di boicottare il prossimo Parlamento», che rischia di portare ad un «inasprimento della spirale della violenza e della lotta sanguinosa» e di «minacciare la stessa esistenza dell’Iraq, l’integrità del suo territorio e l’unità del suo popolo».
I gruppi autori della dura presa di posizione comprendono le principali formazioni politiche sunnite e l’alleanza all’ex premier (sciita laico e moderato) Iyad Allawi. Il nuovo coordinamento – secondo il quale la vittoria sarebbe andata, con un’ampia maggioranza dei 275 seggi del parlamento, alla coalizione di governo ed in particolare alla lista unitaria sciita, filo-Usa e soprattutto filo-Iran, e alla lista unitaria curda – è stato fondato dopo due giorni di dibattito a Baghdad presso la sede della lista guidata dall’ex premier Iyad Allawi. Alla riunione hanno partecipato, oltre alla lista Allawi e a quella che riunisce i gruppi sunniti, anche altre formazioni politiche minori che si sono presentate alle elezioni e che contestano il risultato dalla commissione elettorale. «Abbiamo trovato un accordo nella richiesta di ripetere le elezioni nei seggi dove abbiamo denunciato la presenza di brogli – ha affermato il portavoce della lista Allawi, Ibrahim al-Janabi – terremo domani, dopo la preghiera islamica del venerdì, una manifestazione pacifica di protesta e presenteremo il nuovo raggruppamento che si chiama “Congresso di chi respinge le false elezioni». Al centro di questo drammatico braccio di ferro è il capo della commissione elettorale irachena, Farid Ayyar, che ieri avrebbe chiesto al premier Ibrahim al-Jaafari di poter andare in pensione. Non è chiaro se queste dimissioni siano un atto di accusa nei confronti del governo stesso o un modo per assolvere l’esecutivo dalle proprie responsabilità.
In questa difficile situazione sono giunti ieri in Iraq il segretario alla difesa Usa Donald Rumsfeld e il premier britannico Tony Blair. Il primo ha annunciato una riduzione delle truppe Usa, da 158.000 a 138.000 – lo stesso numero di soldati di gran parte del 2005 – e il secondo una riduzione del contingente britannico a partire a metà del 2006. Rumsfeld inoltre, parlando con i giornalisti sull’aereo che lo portava in Iraq, ha sostenuto che il processo politico avviato in Iraq con le elezioni dello scorso 15 dicembre «prenderà dl tempo», come anche la sconfitta degli insorti, e ha aggiunto che un eccessivo coinvolgimento degli Stati Uniti finirebbe per «alimentare l’insurrezione».