Iran verso le sanzioni Onu

L’Iran toglie i sigilli internazionali agli impianti nucleari a Natanz, Pars Trash e Farayand Technique per riavviare le attività di ricerca atomica e così facendo sfida la trojka europea e gli Stati Uniti e si avvicina alle sanzioni Onu.
Una situazione pericolosa al punto che Washington ribatte: «La riapertura del programma nucleare di Teheran porterà a una grave escalation. Bush non vuole scatenare una guerra ma l’opzione militare resta sul tavolo». Parole dure che rimbalzano a Vienna, sede dell’ Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, dove i toni usualmente soft si fanno sempre più insofferenti: «L’Iran progetta di installare una catena di centrifughe su piccola scala nel suo impianto pilota per l’arricchimento del combustibile a Natanz», conferma un diplomatico dopo il rapporto che il capo dell’organismo Onu, Mohamed El Bara¬dei, ha fatto ieri al consiglio dei governatori.
Anche il comunicato dell’ Aiea, diffuso ieri a Vienna, «esprime la serie preoccupazione del direttore generale El Baradei», uomo accusato dagli americani, ai tempi delle ispezioni in Iraq, di essere troppo diplomatico e che ora, invece, «minaccia di perdere la pazienza con gli iraniani». Parole insolitamente severe per un uomo appena insignito del Nobel per la pace. Ma il sospetto è che gli ayatollah vogliano costruire la bomba.
Anche Parigi, che nei mesi scorsi ha ospitato riunioni segrete per riannodare i fili della diplomazia, reagisce con insolita durezza: < Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, si dice < Anche la risposta degli Stati Uniti non tranquillizza. John Bolton il neo-ambasciatore all’Onu, ex numero tre al ministero degli Esteri, uno dei massimi esperti al mondo di proliferazione nucleare e ardente nazionalista, intende portare la vicenda al Consiglio di Sicurezza per far scattare le sanzioni economiche.
Ma perché il presidente iraniano Mahrnoud Ahmadinejad vuole sfidare la comunità internazionale? Alcune fonti diplomatiche occidentali spiegano il passo come prese di posizione ad uso interno per soddisfare la ribollente base elettorale, i 78 milioni di iraniani stanchi di povertà e rigore fondamentalista. Ma, fatta la tara alla consueta retorica di guerra contro il “Satana Occidentale”, che senso ha dire che si vuole energia atomica in un Paese che ha riserve di petrolio e gas per 132 anni? Che significa parlare di necessità di energia nucleare nel secondo Paese al mondo per riserve di petrolio (dopo l’Arabia Saudita) e di gas (dietro la Russia)? Dopo la scoperta dell’enorme giacimento di gas di Assaluiyeh nel South Pars, nel Golfo Persico, Teheran ha deciso di consumare internamente sempre più gas (oggi è al 47% contro il 53% del petrolio) ed esportare il più redditizio greggio. In dieci anni l’Iran consumerà gas alI’ 80% e il petrolio risparmiato sarà destinarlo all’ export. Oggi, invece, su 4,2 milioni di barili di greggio al giorno, solo 2 vanno all’estero. E pensare che ai tempi dello Scià, Reza Pahlevi, il Paese ne produceva sei ma non c’era l’embargo americano e si usavano i “production share agreement”, cioé compartecipazione sull’estrazione. Oggi; invece, gli ayatollah preferiscono i contratti buy-back in cui l’Eni o la Total guadagnano solo un po’ più di quello che investono. Troppo poco per avere nuova tecnologia.