Qualche settimana fa è accaduta una cosa curiosa: Israele ha scoperto che l’Iran è il Grande Satana. Tutto è successo piuttosto in fretta: nessun precedente sensazionale, nessuna nuova rivelazione. Come a comando di un qualche sergente istruttore, l’intera falange israeliana ha cambiato direzione. Tutti i politici, tutti i generali, tutti i media dispiegati, con il corollario dei soliti esperti prezzolati, hanno improvvisamente scoperto che adesso il pericolo terribile, reale e imminente, è l’Iran.
Per un’incredibile coincidenza, nello stesso momento è stata catturata una nave che si dice trasportasse armi iraniane dirette ad Arafat. E a Washington Shimon Peres, un uomo per tutte le stagioni e servo di tutti i padroni, raccontava a ogni diplomatico di passaggio di migliaia di missili iraniani che sarebbero stati dati agli Hezbollah. Sì, sì, gli Hezbollah (inquadrati dal presidente Bush nella lista delle ‘organizzazioni terroristiche’) stanno ricevendo delle armi terribili dall’Iran (inquadrato dal presidente Bush nell’ ‘Asse del male’) per minacciare il beniamino del Congresso, Israele. Non sembra una follia? Ma no, questa follia ha una sua logica.
La questione è molto semplice. Gli Stati Uniti sono ancora piuttosto arrabbiati dopo l’oltraggio delle Torri Gemelle; hanno riportato una vittoria sorprendente in Afghanistan, riuscendo a non sacrificare quasi nessun soldato americano, e adesso sono lì, furibondi ed ebbri per la vittoria, e non sanno a chi lanciare il prossimo attacco. All’Iraq? Alla Corea del Nord? Alla Somalia? Oppure al Sudan?
Bush non può tirarsi indietro proprio adesso, perché una tale concentrazione di potenza non può essere fermata così; e poi, Bin Laden non è ancora morto né prigioniero. La situazione economica sta peggiorando, un grosso scandalo (Enron) comincia a scuotere Washington; non si dovrebbe lasciare l’opinione pubblica americana a riflettere troppo.
Così arriva la leadership israeliana e comincia a gridare ai quattro venti: il nemico è l’Iran! È l’Iran che bisogna attaccare!
Chi ha preso la decisione? Quando? Come? E soprattutto, dove? Ovviamente non a Gerusalemme, ma a Washington DC. Un pezzo importante dell’amministrazione Usa ha dato un segnale a Israele: comincia una massiccia offensiva politica per fare pressione sul Congresso, sui media e sull’opinione pubblica americana. Chi sono queste persone? E che interessi hanno? Cerchiamo di spiegarlo meglio.
La risorsa più ambita della Terra è la gigantesca riserva di petrolio del Mar Caspio, che compete in grandezza con le ricchezze dell’Arabia Saudita: per il 2010 si prevede che renderà 3,2 milioni di barili di grezzo al giorno, che si sommerebbero ai 137 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno. Gli Stati Uniti sono determinati (a) a prenderne possesso, (b) a eliminare ogni possibile concorrente, (c) a controllare politicamente e militarmente l’area, e (d) a creare un passaggio dal petrolio al mare.
A guidare questa campagna è un gruppo di industriali petroliferi, di cui fa parte anche la famiglia Bush e che, con l’aiuto delle industrie di armi, ha fatto eleggere sia George Bush senior sia Bush junior. Il presidente è una persona semplice, il suo universo mentale è piccolo e le sue dichiarazioni primitive, rasentano la caricatura di un western di serie B; questo è quello che ci vuole per le masse. Ma chi lo manipola è gente che la sa lunga, e sono loro che guidano l’amministrazione.
L’oltraggio delle Torri Gemelle gli ha reso il lavoro più facile. Osama Bin Laden non ha capito che i suoi atti sono serviti agli interessi americani. Se credessi in una Teoria della Cospirazione, direi che Bin Laden è un agente americano, non credendoci posso solo stupirmi per la coincidenza.
La ‘guerra al terrorismo’ di Bush è il pretesto ideale per una campagna pianificata da chi lo manipola. Con la scusa di questa guerra, l’America ha assunto il controllo totale delle tre piccole nazioni musulmane vicine alle riserve: Turkmenistan, Uzbeskistan e Kyrgyzstan; l’intera regione è adesso completamente sotto il controllo politico e militare americano; ogni possibile rivale – comprese Russia e Cina – è stato tagliato fuori.
Gli americani si sono chiesti per molto tempo quale fosse la strada migliore per far arrivare questo petrolio al mare. I passaggi che toccassero zone d’influenza russe sono stati esclusi, e oggi la micidiale competizione tra russi e inglesi del XIX secolo denominata la ‘assurda guerra’, prosegue tra Russia e America.
Fino a poco tempo fa, il cammino occidentale che portava al mar Nero e alla Turchia sembrava il più percorribile, ma agli americani non piaceva eccessivamente, la Russia era troppo vicina. La strada migliore è a sud, fino all’Oceano indiano, e a questo scopo gli Usa hanno portato avanti, senza farsi troppo notare, dei negoziati con il regime talebano. Che però non hanno dato i frutti sperati. Così è cominciata la ‘guerra al terrorismo’, gli Usa hanno conquistato tutto l’Afghanistan insediando dei loro agenti nel nuovo governo, e anche il dittatore pakistano è stato piegato al volere degli americani.
Guardando la mappa delle principali basi americane installate per la guerra, è stupefacente notare che seguono esattamente lo stesso percorso dell’oleodotto progettato fino all’Oceano indiano. La storia sarebbe conclusa, ma si sa che l’appetito vien mangiando. Gli americani hanno tratto due lezioni importanti dall’esperienza afghana: (a) che qualsiasi paese può essere assoggettato con bombe sofisticate, senza mettere a rischio la vita di nessun soldato, e (b) che con la forza militare e il denaro l’America può installare ovunque dei governi sotto il suo controllo.
Così Washington ha avuto un’idea: perché dover costruire un lungo oleodotto tutto intorno all’Iran (attraverso Turkmenistan, Afghanistan e Pakistan), quando se ne può fare uno molto più corto che passi direttamente per l’Iran? Bisogna soltanto far cadere il regime degli ayatollah e collocare un nuovo governo filoamericano. In passato sembrava impossibile, ma adesso, dopo l’episodio afghano, appare estremamente praticabile, bisogna solo preparare l’opinione pubblica americana e ottenere il consenso del Congresso per un attacco all’Iran.
Per questo sono necessari i buoni servizi israeliani, che hanno un enorme impatto sul Congresso e sui media. Funziona così: i generali israeliani ogni giorno dichiarano che l’Iran sta producendo delle armi di distruzione di massa e che minaccia lo Stato israeliano di provocare un secondo Olocausto; Sharon annuncia che la cattura della nave da guerra iraniana dimostra il coinvolgimento di Arafat nella cospirazione iraniana; Peres dice a tutti che i missili iraniani minacciano il mondo; ogni giorno un quotidiano scrive che Bin Laden si trova in Iran o con gli Hezbollah in Libano.
Bush sa come ricompensare chi lavora bene per lui: Sharon ha avuto mano libera per opprimere i palestinesi, imprigionare Arafat, assassinare i militanti e allargare le colonie. È un semplice patto: tu mi dai l’appoggio del Congresso e dei media, io ti consegno i palestinesi su un piatto d’argento.
Tutto questo non sarebbe successo se l’America avesse ancora avuto bisogno di alleati in Europa e nel mondo arabo. Ma in Afghanistan gli americani hanno imparato che non hanno più bisogno di nessuno: possono sputare in faccia ai miserevoli regimi arabi, che sono sempre lì a elemosinare, e fregarsene dell’Europa; gli Usa non hanno certo bisogno degli insignificanti eserciti britannico e tedesco, quando da soli sono più potenti di tutti gli eserciti del mondo messi insieme.
L’idea di una collaborazione tra israeliani e americani contro l’Iran non è nuova per Sharon. Nel 1981, appena nominato ministro della difesa, propose al Pentagono un piano audace: se Khomeini fosse morto, l’esercito israeliano avrebbe occupato immediatamente l’Iran, anticipando l’Unione Sovietica, per poi consegnare il paese agli americani in un secondo momento. Il Pentagono avrebbe dovuto rifornire Israele delle armi più sofisticate da usare nell’operazione sotto il controllo americano. Allora il Pentagono non accettò la proposta, ma adesso la collaborazione si sta creando su uno scenario diverso. Quali conclusioni se ne possono trarre?
Innanzitutto, noi ci troveremmo in prima linea in questa guerra imminente. Al di là dello scambio di insulti tra i ‘due capi di Stato persiani’ (come si dice ironizzando tra i circoli del Comando israeliano, alludendo al fatto che Shaul Mofaz è nato in Iran), una reazione iraniana all’attacco americano ci colpirebbe in modo gravissimo: ci sono i missili, ci sono le armi chimiche e biologiche. Secondo, chi vuole la pace tra israeliani e palestinesi non può contare sull’America; adesso tutto dipende da noi, israeliani e palestinesi.
Il nostro sangue è più prezioso del petrolio del mar Caspio, almeno per noi.
(Traduzione di Francesca Buffo) Questo articolo è apparso il 9 febbraio 2002 nel sito di Gush Shalom () con il titolo The Great Game