Iran, il doppio gioco del curdo Talabani tra i «fratelli sciiti»

La visita a Teheran del presidente iracheno Jalal Talabani può davvero meritare l’aggettivo di “storica”: si tratta infatti della prima visita di un capo di Stato dell’Iraq dopo la guerra del 1980-88 e anche della prima in assoluto da quasi quarant’anni; per ricordarne un’altra bisogna infatti risalire alla metà degli anni ’60 e precisamente all’allora presidente Abdul Rahman Aref, che di lì a poco sarebbe rimasto ucciso in un oscuro incidente aereo. E’ vero che nel luglio scorso era stato mandato per così dire in avanscoperta il primo ministro Ibrahim Jaafari; si trattava tuttavia in quel caso di uno sciita, che in un certo senso “giocava in casa” e che infatti non lesinò gli elogi ai “fratelli iraniani”, sciiti come lui. Che oggi ad apprezzare gli iraniani sia il curdo Talabani e lo faccia per di più in un momento in cui il suo omologo Ahmadinejad è oggetto di polemiche e di attacchi a livello internazionale per la sua sortita su Israele non è evidentemente cosa di poco conto. E tuttavia anche Talabani ha con i dirigenti di Teheran rapporti “speciali” di vecchia data: alla metà degli anni ’90, quando il suo partito, l’Unione patriottica del Kurdistan, si confrontava con le armi con il Partito democratico di Masud Barzani per contendergli l’egemonia nella regione curda di fatto autonoma, sollecitò proprio l’aiuto degli iraniani dopo che il suo rivale Barzani si era rivolto niente di meno che a Saddam Hussein.
Acqua passata comunque; fatta da tempo la pace fra l’Upk e il Pdk, ora Talabani può recarsi in Iran anche a nome dei suoi rivali di ieri.
Piuttosto, c’è da chiedersi se prima di andare a Teheran si è consultato con i suoi “protettori” americani, visto che Bush non può certo gradire uno “sdoganamento” dell’Iran e di Ahmadinejad proprio in questo momento e meno che mai può gradire che in presenza di Talabani il capo di Stato iraniano e la “guida suprema” del regime ayatollah Khamenei abbiano esplicitamente sollecitato un calendario per il «ritiro delle forze di occupazione». Sta di fatto che Talabani e Ahmadinejad si sono dati scambievolmente una mano: il primo ottenendo dai «fratelli iraniani» quella cauzione che fatica ancora ad ottenere da tanti governi arabi e il secondo rompendo l’isolamento cui vorrebbero costringerlo gli americani e dimostrando di essere comunque un interlocutore di peso nella discussione dei nuovi equilibri regionali. Bush accusa un giorno sì e l’altro pure gli iraniani di “terrorismo”, ma Talabani ha detto a Teheran di essere «sicuro che ci aiuteranno, il terrorismo è contro tutti, sanniti sciiti e curdi, e sono certo che da parte iraniana ci sarà ogni tipo di aiuto per eliminarlo». Da parte sua Ahmadinejad, contestando le accuse americane secondo cui Teheran sosterrebbe gli attacchi armati contro le forze della coalizione in Iraq, ha detto che «questo tipo di affermazioni non avrà conseguenze sulle nostre relazioni che hanno radici profonde» e ha aggiunto che Iraq e Iran sono «un’unica anima in due corpi» e che dunque «un Iraq indipendente, forte e popolare è nell’interesse di tutti i Paesi della regione, compreso l’Iran».
Il governo di Teheran conferma insomma di aspirare ad un ruolo di potenza centrale nella regione (ricordiamo che sono dei giorni scorsi missioni dei dirigenti iraniani nell’alleata Siria e che resta fuori discussione il sostegno iraniano agli Hezbollah libanesi), il che dimostra come i giochi in Medio Oriente siano più complicati di quanto solitamente si vorrebbe far credere e che tutto può essere rimesso in qualunque momento in discussione; tenendo conto che quando a Teheran si parla di un Iraq «indipendente e forte» si pensa ad un Paese in cui la componente sciita abbia (come ha attualmente) un peso determinante nella gestione del potere. Talabani e Ahmadinejad sono andati insieme a rendere visita alla “guida suprema” Ali Khamenei, il quale ha rincarato la dose: «La presenza delle truppe straniere – ha detto, senza che Talabani battesse ciglio – è dannosa per gli iracheni e il governo di Baghdad potrebbe chiedere la loro partenza proponendo un calendario»; e perché fosse chiaro che cosa vuol dire «dannosa» ha aggiunto che «la repubblica islamica ritiene gli Stati Uniti responsabili per tutti i crimini e gli assassinii che vengono attualmente perpetrati in Iraq».
Parole singolari da dire a un presidente insediato e controllato dagli americani come Talabani; il quale comunque ha assicurato Khamenei di ritenere che le relazioni fra i loro due Paesi «sono strategiche» e di volerle «sviluppare concretamente in tutti i campi». Un successo per Teheran, al quale se ne può aggiungere un altro: Usa e Unione europea hanno rinunciato per ora a chiedere il deferimento dell’Iran al Consiglio di sicurezza per la questione nucleare e i tre Paesi europei incaricati della “mediazione” – Gran Bretagna, Francia e Germania – si sono detti disponibili a riprendere i colloqui con Teheran il 6 dicembre prossimo, «senza precondizioni».