La delegazione europea giunta due giorni fa a Tehran per perorare la partecipazione o almeno la neutralità iraniana nella crociata contro l’Afghanistan, per chiedere all’Iran di consegnare nella mani degli Usa e di Israele la resistenza islamica libanese e ottenere una sorta di via libera ad un eventuale intervento occidentale nell’Iraq del Nord, si è scontrata con la fermezza del presidente Khatami e con l’aperta ostilità del leader supremo del paese l’ayatollah Ali Khamenei.
In un lungo discorso tenuto al cospetto delle famiglie dei soldati morti nella guerra contro l’Iraq, trasmesso dalla televisione, il leader supremo del paese ha definito gli Stati uniti “inconpetenti” e “dagli atteggiamenti disgustosi” e ribadito senza mezzi termini che l’Iran non solo non parteciperà mai a qualsiasi attacco Usa contro “il vicino musulmano dell’Afghanistan il cui popolo ha già sofferto abbastanza” ma non fornirà neppura alcuna assistenza agli Usa”. La massima carica istituzionale del paese, spesso in dissenso con il presidente Khatami, ha sostenuto inoltre che la pretesa Usa di ottenere l’appoggio del mondo senza essersi guadagnati il rispetto delle altre nazioni “è disgustoso”. “Del resto -ha continuato- gli Usa non sono nè sufficientemente competenti né abbastanza sinceri per guidare alcuna campagna contro il terrorismo considerando che hanno le mani sporche del sangue delle vittime del regime sionista”. L’ayatollah Khameney ha tenuto il suo discorso a 48 ore dalle dure dichiarazioni del segretario di stato Colin Powell il quale, dando per scontato il desiderio dell’Iran di partecipare alla grande coalizione filo-Usa -solamente perché il presidente Khatami aveva condannato l’attentato alle torri gemelle- ha chiesto a Tehran “di porre fine a qualsiasi sostegno al terrorismo”. Scoperto riferimento agli Hezbollah libanesi e ai movimenti della resistenza islamica palestinese, la Jihad e Hamas, tutti colpevoli di voler liberare i rispettivi paesi dagli occupanti stranieri. Un sostegno per il quale l’Iran è ancora nell’elenco Usa dei paesi che “sostengono il terrorismo” – quello anti Usa. Il terrorismo degli alleati degli Stati uniti, a cominciare da Israele, non è infatti considerato tale da Washignton. Ed è proprio a Colin Powell che il leader iraniano, al termine di una riunione straordinaria del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, ha voluto rispondere: “Gli Usa sostengono che non vi sono terroristi buoni e terroristi cattivi ma sono proprio loro ad avere due pesi e due misure. Chiedono al mondo di aiutarli per i loro interessi senza mai tener conto degli interessi degli altri. Ed è per questa arroganza che sono tanto odiati”. Poi, dopo aver condannato senza mezzi termini ogni forma di terrorismo “che va combattuto con una guerra santa”, il leader iraniano ha respinto l’ultimatum di Bush “O con noi o con il terrorismo”: “Noi non siamo con voi né con i terroristi. Del resto non è affatto vero che tutti coloro che sono con voi siano contro il terrorismo né che essere contro le vostre politiche significhi essere con i terroristi”. Nei giorni scorsi il presidente iraniano Khatami aveva già annunciato il rifiuto del suo paese a partecipare ad una eventuale guerra contro l’Afghanistan -nonostante Tehran sia ferocemente contraria al regime dei talebani che considerano gli sciiti come una sorta di eretici- e chiesto invece che qualsiasi iniziativa per assicurare alla giustizia i responsabili dell’eccidio a New York “sulla base di prove certe” venga presa sotto l’egida delle Nazioni unite. Sulla base di queste posizioni è in corso un deciso riavvicinamento con l’Egitto del presidente Mubarak. Il ministro degli esteri di Tehran, Kamal Kharrazi, arriverà la prossima settimana al Cairo, seconda tappa di un viaggio in Medioriente che lo vedrà anche in Libano e a Damasco. L’Iran ruppe le relazioni diplomatiche con l’Egitto all’indomani della rivoluzione iraniana del 1979 guidata dall’Ayatollah Khomeini e l’ultimo Shah di Persia riparò al Cairo dove morì e dove venne sepolto. Ora però la nuova crociata di Bush sembra aver riaperto il dialogo tra i due paesi. Anche perché nella regione tutti temono che ben presto si arrivi a colpire di nuovo l’Iraq per balcanizzarlo e dividerlo in tre entità autonome su basi etnico-religiose (una curda sunnita al nord, un’altra sunnita araba, con venature cristiane, al centro e una sciita araba al sud). Un primo esempio di quel che si sta mettendo in modo in quella regione è venuto ieri dall’Iraq settentrionale controllato dalle milizie curde di Massoud Barzani e Jalal Talabani. L’Unione patriottica del Kurdistan di Talabani ha attaccato ieri la città di Halabja, vicina al confine con l’Iran (dove le forze iraniane nel 1988, dopo aver sfondato il confine iracheno, vennero fermate dall’uso massiccio dei gas che fecero strage anche tra la popolazione civile) e ne ha occupato i quartieri centrali strappandoli al controllo di due gruppi islamisti. Il Puk, per giustificare il colpo di mano, probabilmente commissionato dagli Usa per “ripulire la zona” in vista di un intervento anglo-americano nell’Iraq del Nord, ha sostenuto che i due movimenti avevano “collegamenti con Osama bin laden”. A sostegno di Talabani è intervenuto ieri in serata il suo rivale Massoud Barzani che ha offerto al Puk il suo aiuto “nella lotta contro il terrorismo”.