Iran, Bush è il Grande Satana. Schroeder agli Usa: Basta minacce

Durissime reazioni a Teheran dopo l’ accenno del presidente Usa a un possibile uso della forza

Il cancelliere tedesco: ‘Abbiamo già visto che le maniere forti non servono’

C’ è ancora una «window of opportunity», una possibilità resta aperta, dice Mohammed El Baradei, capo dell’ Aiea, l’ organo che vigila sulla non proliferazione nucleare. Ma intanto le puntate della partita a poker tra Iran e Occidente sul nucleare si fanno sempre più alte. Il presidente Bush, che aveva detto due giorni fa che gli Stati Uniti non avrebbero negato il visto d’ ingresso al neo-presidente Ahmadinejad per l’ assemblea dell’ Onu (del resto la Cia ha appurato che non aveva fatto parte 27 anni fa dei sequestratori dell’ ambasciata americana), ha affermato invece ieri di non escludere l’ uso della forza contro Teheran. E i giornali ultrà iraniani hanno risposto per le rime: «La Repubblica islamica non ha paura né delle sanzioni Onu né delle minacce militari del Grande Satana» scrive il super-oltranizista Kheyhan. «L’ Occidente sappia che stiamo pensando di uscire dal Trattato di non proliferazione», gli fa eco Ressalat. Il poker durava già da tempo. Un anno fa era stato lo stesso presidente Khatami, certamente un moderato, ad annunciare: «O ci riconosceranno il nostro legittimo diritto di sviluppare l’ energia nucleare a scopi pacifici o ce ne andremo per la nostra strada». La questione nucleare in Iran è anche una questione di orgoglio nazionale, che tocca sentimenti non dissimili da quelli che mezzo secolo fa portarono alla nazionalizazzione del petrolio da parte di Mossadegh. Ma mentre i moderati avevano sempre finito per accettare interruzioni parziali o totali delle attività nucleari, il neo-presidente conservatore Ahmadinejad è passato all’ offensiva, prendendo di contropiede gli europei. Ahmadinejad è perora una pagina non scritta. Fino a che punto pensa in termini di grandeur nazionale piuttosto che di cooperazione internazionale? E quanto le sue idee rispecchiano quelle dei poteri religiosi ai quali alla fine dei conti spetta l’ ultima parola? Sono tutte domande che aspettano una risposta. Agli iraniani il neo-presidente ha promesso «un governo di moderazione». Oggi o domani presenterà i membri del suo gabinetto, ma i nomi che circolano a Teheran sono quelli di khomeinisti duri, come Pour Mohammadi, un ex ministro dei Servizi segreti, che ha (segretamente) organizzato la campagna elettorale di Ahmadinejad e anni fa era stato accusato di aver orchestrato le uccisioni in serie di intellettuali e scrittori per di bloccare le riforme. Le trattative di Ahmadinejad con il Parlamento (ancorché conservatore), cui spetta approvare o rifiutare ciascuno dei ministri, sono state lunghe e intense. La risoluzione dell’ Aiea intima a Teheran di sospendere di nuovo ogni attività nucleare. Mercoledì scorso i era stato tolto l’ ultimo sigillo all’ impianto per l’ arricchimento dell’ uranio di Isfahan e Teheran afferma che riprenderà il negoziato solo per l’ impianto di Natanz, dove avviene l’ operazione successiva del ciclo di arricchimento. L’ Aiea ha evitato però di parlare di sanzioni o di Consiglio di Sicurezza. Ha usato parole moderate, che hanno consentito di approvare la risoluzione all’ unanimità. Il dilemma dell’ Aiea è che il Trattato di non proliferazione consente in effetti agli iraniani, come a tutti i firmatari, di produrre il proprio combustibile per le centrali nucleari, ma le stesse tecniche possono essere usate per produrre bombe atomiche. Con il negoziato gli europei hanno comunque ritardato per due anni la ripresa delle attività nucleari. E sperano di poter continuare in questa direzione. Il cancelliere tedesco Schroeder, come ai tempi in cui Bush preparava la guerra all’ Iraq, è sceso preventivamente in campo per dire no all’ uso della forza: «Lasciamo stare le opzioni militari, si è già visto che non servono a niente» ha detto. La Germania è oggi come allora in campagna elettorale, ma inquietanti oggi come allora appaiono ai tedeschi gli accenni di Bush alla possibilità di un intervento armato. Prima della caduta di Bagdad i teocrati iraniani tremavano. Oggi hanno avuto tanti di quei vantaggi strategici dalla situazione in Iraq da sentirsi forti come non mai. Sono sicuri che gli americani non hanno più appetito per un’ altra invasione. E la possibilità di un attacco «preventivo» agli impianti nucleari apre scenari apocalittici. «Lascio alla sua fantasia immaginare cosa succederebbe ai prezzi del petrolio il giorno che l’ Iran fosse attaccato» mi aveva detto un funzionario del ministero del Petrolio a Teheran. Anche gli europei sono però di fronte a un altro dilemma. Saranno davvero allettanti, per Ahmadinejad, i vantaggi economici che l’ Europa propone in cambio della rinuncia al nucleare? L’ unico criterio che conta per i mullah è il mantenimento del potere. Ma mentre riformatori e moderati alla Rafsanjani ritenevano di poterlo mantenere o con una liberalizzazione graduale o con un modello «cinese» (liberalizzazione sì ma solo economica), gli ultra-conservatori pensano di poter restare più sicuramente in sella (almeno finché il petrolio resterà ai prezzi di oggi), rinunciando alla cooperazione economica con l’ occidente e finanziando con i petrodollari delle misure per tenere tranquilli i poveri e i disoccupati. Le incertezze, come si vede, non fanno che crescere.