Io senza accuse nelle galere volanti

Desaparecido preventivo (e segreto) delle «extraordinary renditions» della Cia dal 26 dicembre del 2003 fino al 5 maggio del 2005. Passeggero per 25 ore, in 4 viaggi, delle «galere volanti» con cui l’intelligence di Langley ha arrestato per il mondo! e poi smistato in vari centri clandestini di interrogatorio e tortura, presunti terroristi islamici di Al Qaeda. E ancora senza un capo d’accusa concreto, se non quello, generico, di essere un jihadista. Mohamed Abdaléi Saleh al Asad, un commerciante yemenita di 45 anni, residente in Tanzania e incarcerato nel suo Paese natale da 7 mesi, è riuscito a denunciare
il suo sequestro illegale ad Amnesty International (Ai). Una testimonianza che fa venire i brividi.
«É un caso davvero incredibile: sono trascorsi mesi e mesi e non è accusato di niente. Da moltissimo tempo, più di un anno, non è nemmeno interrogato ed è chiarissimo che non ha niente a che vedere con il terrorismo», assicurava ieri Anne Fitzgerald, investigatrice di Ai, al quotidiano filosocialista madrileno El Pais. Dopo aver incontrato il malcapitato lo scorso settembre, per 4 ore, in una prigione di Al, Ghaydah, l’unica ragione che l’investigatrice e il prigioniero hanno trovato per motivare il sequestro potrebbe essere che alla fine degli Anni ’90 al Asad aveva affittato (era il suo mestierer un ufficio alla Al Haramain Islamic Foundation, un’ ong che dopo l’ Il settembre è stata inclusa nella lista dei sospetti fmanziatori di Bin Laden.
L’odissea del desaparecido è cominciata a Santo Stefano, due anni fa. Mohamed, residente in Tanzania da 25 anni, sposato e padre di 4 figli, venne arrestato da agenti dell’immigrazione. Poi è sparito nel nulla fino a quando gli Stati Uniti l’hanno restituito alla giustizia yemenita. La sua infinita «extraordinary rendition» , durante la quale era sempre ammanettato e con gli occhi bendati, è iniziata con un primo volo durato due ore a bordo di un velivolo che gli sembrava piccolo. Nessuno ha mai risposto alle sue domande. Gli unici interrogatori a cui è stato sottoposto in 16 mesi erano fatti da personale americano bianco e con accento del Sud (Mohamed conosce bene l’inglese). Torture ci sono state
ma solo nei primi giorni. Poi: neanche quelle.
La seconda «jail operation» due settimane dopo, è durata più di 180 minuti. La terza, quattro mesi dopo, sei ore più un successivo trasferimento in elicottero. La quarta, di 10 ore, è stata quella che l’ha riportato in Yemen, probabilmente con altri prigionieri. Mohamed non lo può sapere. Come neppure dove sia stato incarcerato, se in Europa, negli Usa o chissà dove. Pero, grazie à piccoli particolari, al Asad è riuscito a ricostruire parte della rotta. La prima tappa, probabilmente, è stata una nazione dell’ Africa orientale: un secondino, sempre mascherato, gli aveva parlato in un arabo con accento etiope o somalo. E il pane che aveva mangiato era dolce, tipico di quelle parti del Continente Nero.
Poi l’improbabilissimo terrorista islamico rammènta che da un Paese caldo è finito in uno freddissimo. I suoi ricordi finiscono qui perché la logica delle «extraordinary renditions» è quella di non lasciare alcuna traccia. Infatti, delle 3 galere terrestri in cui è stato rinchiuso il povero Mohamed non sa nulla. Forse almeno una era araba, visto che i carceri eri, incappucciati, gli si rivolgevano solo con cenni, sicuramente per non tradirsi. Le celle che ha occupato erano sempre individuali e piccolissime, buchi di l, 5 metri per 2, senza finestre, vuote, con la luce sempre accesa. Una tecnica carceraria fatta apposta per distruggere fisicamente e psicologicamente il prigioniero. Persino la soddisfazione delle esigenze corporali variava a seconda della cella: nella prima andava al cesso 3 tre volte al giorno, nella seconda aveva solo un pitale.
Il terrorizzato al Asad arriva al punto di ammettere, torture a parte, che i suoi secondini lo hanno trattato «con squisita educazione». Il Corano a disposizione, una lista di 600 libri da leggere, persino esaudita la richiesta e di vedere un video sulla vita del Profeta. «Mohamed, che ha potuto conoscere in patria la figlia nata quando era desaparecido, ha una grande tristezza nello sguardo, ancora non capisce – sottolinea Fitzgerald. Gli yemeniti aspettano che gli Usa presentino i capi d’accusa. Credo che il loro desiderio sia lasciarlo libero quanto prima per non crearsi problemi con il governo Bush».