Interviste alla festa 2005: Gianni Rinaldini

Siamo con Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom. Vogliamo partire da alcune considerazioni sulla situazione dell’industria italiana e soprattutto dal rinnovo del contratto dei metalmeccanici, rispetto al quale Confindustria si sta assumendo gravi responsabilità?

La situazione dell’industria italiana continua ad essere una situazione pesante, come del resto indicano tutti i dati economici disponibili. Siamo l’unico paese che negli ultimi quattro-cinque anni non ha aumentato la produzione e, in alcuni settori fondamentali, come quello dell’auto, versa in condizioni di gravissima difficoltà.
Sul versante contrattuale la situazione, per esempio per noi meccanici, è bloccata perché Federmeccanica non ha la minima volontà di chiudere i contratti. L’offerta di 60 euro lordi scaglionati in due anni, cifra irrisoria, è figlia di una scelta precisa di non andare al rinnovo dei contratti.

Confindustria, che sta puntando decisamente sul centro-sinistra, propone un patto costituzionale per uscire dalla crisi, con un occhio di riguardo appunto agli scenari che si potrebbero aprire dopo le politiche dell’anno prossimo…

Innanzitutto nel merito di quel patto costituzionale: ci sono proposte che io reputo assolutamente inaccettabili, come per esempio la revisione delle normative sul diritto di sciopero. È chiaro poi che siamo di fronte a messaggi politici rivolti al quadro che si determinerà dopo le elezioni.

Qual è la sua posizione rispetto alle richieste pressanti, di Confindustria ma accolte anche dalla Cisl, in merito alla riforma del modello contrattuale?

Penso che il tentativo di indebolire il contratto nazionale sia totalmente inaccettabile; al contrario il contratto nazionale va rafforzato perché per sua natura è un elemento di solidarietà generale per tutti i lavoratori. Il problema è che la logica del liberismo e della competizione (azienda contro azienda ma anche gruppo di lavoratori contro gruppo di lavoratori) mette in discussione proprio questa solidarietà generale, considerata come un vincolo che nulla ha a che fare con la competizione delle imprese. Tutti i vincoli di solidarietà, compreso il contratto nazionale, vengono messi in discussione. La favola di Confindustria, poi, che chiede che si faccia la riforma del sistema delle regole per aumentare le retribuzioni, è semplicemente irrispettosa delle condizioni materiali delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Se Confindustria vuole aumentare le retribuzioni dei meccanici, lo dimostri: c’è una trattativa ancora aperta.

Al prossimo congresso Cgil, lei ha preannunciato un impegno preciso per introdurre elementi di democrazia diretta attraverso il voto dei lavoratori sui contratti…

Per i meccanici non è un elemento di novità; questa è la scelta che abbiamo compiuto da anni. Noi diciamo che, anche a partire dall’esperienza dei meccanici, il problema della democrazia, quindi del voto dei lavoratori sulle loro piattaforme e sui loro contratti, debba affermarsi come procedura democratica per tutti i lavoratori dipendenti.
Questo è importante perché non mi piace il clima che si respira di restrizione degli spazi di democrazia. Va promossa un’operazione inversa a quello che vuole Confindustria, che allarghi gli spazi di democrazia appunto a partire dalla legge sulla democrazia nei luoghi di lavoro.

Come giudica le difficoltà dell’Unione oggi nel proporre una politica economica e sociale capace di ridare peso al lavoro? Quali sono le richieste irrinunciabili dei meccanici per il futuro programma di governo?

L’elenco sarebbe veramente lungo. Per punti: abrogazione e sostituzione dell’attuale legislazione sul lavoro, legge sulla democrazia e rappresentanza sindacale e una nuova politica industriale. Questo paese non ha una politica industriale, ma ha attuato un processo di privatizzazioni che hanno accentuato ulteriormente tutti gli elementi di debolezza strutturale dell’economia italiana, contribuendo a far crescere una classe imprenditoriale che si occupa più di finanza e meno di industria.

Tornando al congresso Cgil: ci sono le condizioni perché le due tesi che lei ha preannunciato scongiurino il pericolo di un rafforzamento delle logiche concertative dentro il sindacato?

Le due tesi stanno dentro una dialettica interna al sindacato. È difficile fare previsioni sull’esito…
È certo che il fatto che la CGIL stia per affrontare un congresso senza documenti contrapposti è un elemento sicuramente positivo.

Un’ultima domanda sulla sinistra politica. La mia impressione è che ci si stia attardando in discussioni politiciste (a partire dalle primarie) che, oltre a ritardare il dibattito programmatico, alludono ad una cultura politica leaderistica, plebiscitaria, maggioritaria estranea alla tradizione del movimento operaio. È d’accordo?

Mi sembra evidente che lo stato di salute della sinistra politica non sia per nulla buono. Anzi, penso che abbia gravissimi problemi. Le primarie in sé però non esprimono una tendenza, né saranno risolutive per i problemi della sinistra. Il vero problema è che si fa fatica a definire un’ipotesi programmatica credibile che sia alternativa a Berlusconi.
Del resto, aggiungo, dentro queste difficoltà ci sta anche il fatto che la sinistra italiana tarda ad assumere una dimensione europea, che i processi attuali, a mio modo di vedere, impongono.