INTERVISTA. Fassino a Cofferati: basta con i sospetti morali

Il leader Ds: da stalinisti cercare il traditore nel proprio campo. Se c’è chi lavora per la scissione sappia che sarà sconfitto.

La guerra. Ma anche l’Ulivo, i Ds, le divisioni. Un Fassino a tratti ruvido ma determinato a incalzare il governo, tenere unito l’Ulivo, ricordare a Sergio Cofferati che il segretario del partito è lui. La guerra, dunque.

«L’andamento dei primi dodici giorni indica come le preoccupazioni di chi questa guerra non la voleva fossero fondate. Era prevedibile che avrebbe aperto un solco di ulteriore incomunicabilità con le opinioni pubbliche dei Paesi arabi. Siamo di fronte alla prospettiva di una guerra lunga e nessuno può augurarsi che duri. E’ inconcepibile che la sinistra si divida in un dibattito francamente salottiero su quanto debba durare la guerra. Tutti dobbiamo volere che duri il meno possibile. Semmai dobbiamo chiederci quale possa essere l’iniziativa che consenta questo obiettivo. Intanto penso che subito occorra attivare un programma straordinario di aiuti umanitari. Ma, al di là di questo, occorre un’iniziativa del nostro governo, con i partner europei, per la convocazione immediata del consiglio di sicurezza Onu perché si verifichi la praticabilità di una iniziativa che tenga insieme sospensione delle ostilità, ripresa del disarmo dell’Iraq, avvio di un processo di transizione democratica in Iraq e, parallelamente, la ripresa del processo di pace in Medio Oriente. La richiesta di cessazione unilaterale delle ostilità solo agli Usa, senza porre le altre questioni, sarebbe irrealistica e assolverebbe Saddam Hussein dalle sue gravi responsabilità».

In questo piano non c’è, come dice Cofferati, del cinismo?

«Credo che la cosa più cinica sia non porsi il problema di far terminare la guerra rapidamente per evitare sofferenze a degli inermi. La mia posizione cerca di individuare uno spazio politicamente praticabile e perseguibile per degli obiettivi che consentano la soluzione della crisi».

Però è al governo che spetta l’iniziativa in sede europea

«E infatti io penso che su questo si debba incalzare il governo, che finora ha avuto atteggiamenti opportunistici e contradditori. L’opposizione deve essere unita. Giudicherei un gravissimo errore usare parole d’ordine massimalistiche solo per piantare la propria bandierina: parliamo di pace e di guerra. Occorre senso di responsabilità».

E qui arriviamo al modo di essere opposizione che, più o meno come prima, sembra divisa e litigiosa

«Credo che un’opposizione debba sempre porsi l’obiettivo di allargare i suoi consensi. Vedo invece con preoccupazione emergere spesso in parte dell’opposizione la tentazione di una politica che riduce il consenso. Non mi hanno mai convinto le logiche dei puri e duri, dei pochi ma buoni, così come non mi convincono i “senza se e senza ma”. Quegli elettori che alle elezioni presidenziali americane hanno ritenuto che fosse più puro e duro votare per Ralph Nader, in nome del “senza se e senza ma”, hanno consegnato a Bush la presidenza quando, se avessero votato per Gore, anche con qualche se e con qualche ma, oggi non ci sarebbe la guerra. Già stiamo scontando i danni della divisione sindacale, non credo si possa guardare a cuor leggero a comportamenti e atti che possano compromettere anche l’unità dell’Ulivo e dividere i Ds. Mi colpisce, come un elemento di regressione culturale, che si sia smarrito un Abc della politica, che è la capacità di costruire alleanze e di realizzare intorno ai propri obiettivi un consenso maggioritario nella società per tornare a governare. Io ho lavorato per l’unità del centrosinistra e dei Ds. L’ho fatto con grande determinazione e anche generosità. Scontando qualche incomprensione. Oggi ci sarebbero le condizioni per rilanciare l’Ulivo».

Un anno fa ci fu il gesto clamoroso di Nanni Moretti dal palco di piazza Navona

«Quello schiaffo chiedeva: l’opposizione c’è? Un anno dopo c’è. E si è costruita per tanti percorsi: la mobilitazione del movimento sindacale, i girotondi e la società civile, i partiti – a cominciare dal nostro, che ha messo in campo un rilancio larghissimo di iniziative -, l’Ulivo e la sua opposizione in Parlamento. Insomma, il fiume dell’opposizione si è rimesso in moto e ci sono le condizioni per un salto che faccia percepire il centrosinistra come una credibile alternativa di governo. E questo ancor più in una fase in cui il centrodestra è in difficoltà. Con la guerra si vedono meno gli errori, le difficoltà, le contraddizioni in politica interna del centrodestra: ma ci sono».

Questo può valere anche per voi

«Proprio per questo dobbiamo cogliere gli spazi che abbiamo aperti di fronte. Soprattutto il fatto che, nel momento in cui chi governa dimostra di non farcela, è dovere dell’opposizione accelerare la elaborazione di una proposta che dimostri al Paese che c’è chi ce la può fare».

Ma il problema non è solo dell’Ulivo, è soprattutto vostro

«Ci sarebbero le condizioni per un maggiore unità anche dei Ds. La convenzione programmatica che terremo a fine settimana punta a una proposta di programma largamente unitaria. Per questo guardo con preoccupazione a chi ha la tentazione a far emergere la distinzione a tutti i costi».

Cofferati dice che le diversità sono un valore, non un limite

«Io non contesto i diritti della minoranza: siamo un partito pluralista, che ha abbandonato centralismo democratico e riconosce la legittimità di una pluralità di posizioni e le considera una ricchezza. A patto che la diversità di posizioni non sia rifiuto al confronto, ricerca pregiudiziale di una distinzione. Un partito democratico ha un momento in cui si confrontano le posizioni e si definisce la strategia che è il congresso: lì si discute, ci si misura e ci si conta. Poi si lavora con assunzione comune di responsabilità che, senza annullare le differenze, faccia però vivere il partito come un organismo unitario. Se invece si persegue un doppio binario per cui la minoranza sta dentro il partito con una linea che si distingue su tutto e al tempo stesso si struttura con un’associazione che fa concorrenza al partito, l’esito di tutto questo è solo la paralisi e una logica dissolutiva. Questa è una logica autoreferenziale, che nessuno capisce, a cominciare dal nostro elettorato. Quindi non chiedo affatto alla minoranza del partito di celare le sue posizioni, ma di non cristallizzarle, di non farne oggetto di divisione del partito oltre il lecito. Mi chiedo ad esempio se sia giusto che ogni diversità di posizione debba tradursi in una distinzione di voto in Parlamento, regola che non è applicata in nessun partito di sinistra in Europa».

Però, dice Cofferati, tra un congresso e l’altro la situazione non può e non deve restare cristallizzata

«Non contesto alla minoranza di cercare di allargare i propri consensi, ma in tutto ci vuole misura e la misura è data dal riconoscimento di chi dirige il partito. E invece, lo dico con amarezza, troppo spesso si è alimentato un sospetto morale: si è fatto credere che chi dirigeva il partito non volesse fare opposizione, non avesse la schiena dritta, avesse perso i suoi valori. Io non posso accettare questo terreno perché c’è solo disconoscimento. E’ un vecchio retaggio dello stalinismo quello, anziché di misurarsi con i problemi, di cercare il traditore nel proprio campo e io lo rifiuto. Per questo mi ha amareggiato molto l’episodio di Catilina (uno sferzante editoriale firmato da un non meglio identificato “Catilina”, pubblicato sul sito della Fondazione Di Vittorio, che attacca frontalmente l’attuale dirigenza DS), perché mi chiedo se è solo un infortunio o se è un infortunio rivelatore. Per esempio mi sarei atteso che Cofferati non si limitasse a dire che era un’opinione personale di chi l’ha scritto, ma si dissociasse nettamente dai contenuti di quello scritto. Si può immaginare quale putiferio sarebbe successo se sul sito dei Ds fosse comparso un articolo anonimo che attaccava la Fondazione Di Vittorio e il suo presidente. Il fondamento del pluralismo è il riconoscimento reciproco. Da me e dal gruppo dirigente Ds Cofferati è stato sempre riconosciuto».

Alcuni dirigenti del suo partito parlano di una scissione di fatto

«Continuo a pensare che nessuno voglia la scissione, che non corrisponda allo spirito della nostra gente, dei nostri iscritti, dei nostri elettori, e che chiunque si presenti come chi divide sia condannato alla sconfitta. Voglio sperare che nessuno punti su questo. Occorre lavorare per stare insieme ma, ripeto, bisogna riconoscersi reciprocamente. E resto fedele al mandato di Pesaro: una sinistra riformista e di governo, che rifiuti derive radicali e massimaliste. Mi batto per un Ulivo più largo e unito che sia in grado di costruire un’interlocuzione tra partiti, movimenti e società, per essere un’alternativa a Berlusconi. Ma tenere uniti i Ds e l’Ulivo non è solo compito mio. Chi volesse dividere, si assumerebbe una gravissima responsabilità».

Unità dei Ds, dell’Ulivo e, guardando oltre, dei socialisti europei. Ma su Blair parte della sinistra è durissima

«E’ una lettura misera guardare a questa guerra solo come una guerra per il controllo del petrolio. C’è anche questo, ma ci mette di fronte al grande tema degli equilibri del post Muro di Berlino. Quale assetto del mondo ci sarà: una multilateralità incardinata sulla centralità delle istituzioni sopranazionali, a partire dall’Onu, o la centralità degli Stati Uniti e del sistema di alleanze che di volta in volta questi creano in funzione dei loro obiettivi? Perciò occorre un forte rilancio di iniziativa europea e, al suo interno, della sinistra. E non si può banalizzare la posizione di Blair. Diffido di chi guarda con soddisfazione a un Atlantico più largo. Perché quando questo è accaduto, l’Europa è stata più insicura. Certo il rapporto con gli Usa va rimotivato, rivisto, ma per l’Europa è indispensabile. E comunque un conto è essere contro la guerra di Bush, altro dimenticare che sotto la Casa Bianca non ci sono le camere di tortura che ci sono sotto i palazzi di Saddam Hussein».