Intevista effettuata durante la puntata del 29 giugno del programma radiofonico Fahrenheit (Radiotre).
La notizia viene dall’Inghilterra: un programma della BBC radio 4 ha lanciato questa domanda: quali sono i filosofi più grandi di tutti i tempi? C’è un sondaggio ed in testa alla classifica c’è Karl Marx seguito da Wittgenstein e da Hume. Perché un filosofo come Marx è ancora considerato così importante e così rilevante? Ne parliamo con Alberto Burgio, che insegna Storia della filosofia all’Università di Bologna ed è uno studioso di Marx. La colpisce questa classifica?
Mi colpisce, la trovo anche sorprendente e sicuramente molto istruttiva. Sarebbe sbagliando introdursi in ragionamenti teorici, magari rigorosi, fondati, ma che credo mancherebbero il senso di questa cosa. Questo è un sondaggio in cui i filosofi sono scelti per quello che rappresentano nella coscienza comune, sono delle metafore.
Quindi dire Marx significa anche dire un’idea di società, un’idea d’azione, un’idea di politica?
Questo sta a noi capirlo. Credo che le persone che lo scelgono lo scelgono per dei motivi che noi dovremmo cercare di individuare. Dobbiamo capire che cosa c’è sotto.
Certo è un po’ curioso. Pensiamo al panorama dell’università italiana, dove Marx è scomparso, cancellato; la pubblicazione delle sue opere si è interrotta, le sue opere sono spesso introvabili… e vince un filosofo che fa anche storia e che dice che la filosofia è prassi, processo storico e quindi impegno, partecipazione alla vita politica, azione sociale. È un bel segnale, una bella lezione…
Non c’è dubbio e penso che quanto lei ricordava a proposito dell’università italiana dovrebbe aprire un’altra riflessione su di noi, su cos’è questa comunità scientifica, cos’è la filosofia, soprattutto accademica, oggi in Italia, qual è la storia dell’intellettualità italiana che nel tempo cambia orientamenti e riferimenti come se fossero vestiti… ma questo sarebbe un altro discorso.
Ritorniamo invece alla nostra domanda, perché Marx prevale: credo, senza forzare, che rappresenti in positivo l’idea che, come si dice in questi anni, un altro mondo è possibile e specificamente un mondo più giusto. C’è una sete di giustizia sociale, di non diseguaglianza, di una vita che abbia condizioni umanamente migliori. E qui c’è un punto di Marx che è straordinariamente suggestivo e cioè che questo mondo è concretamente possibile. Io penso che affiori nella coscienza comune la contraddizione intollerabile tra il peggioramento delle condizioni di vita per larghe fasce di popolazione rispetto a quanto non fossero venti-venticinque anni fa e le possibilità che tutti noi intravediamo per lo sviluppo tecnologico, perché la produttività del lavoro è immensamente cresciuta e perché è aumentata la ricchezza complessiva delle nostre società. C’è quindi una grande richiesta di giustizia sociale e contestualmente affiora la protesta, la collera…
Si può dire che questo risultato cerchi di liberare Marx dalla cappa pesantissima, tremenda e orrenda dell’Unione Sovietica e di quel mondo che sicuramente bene non ha fatto al pensiero marxista?
Lei dice una cosa giusta naturalmente ma che io problematizzerei un pochino. Quella è una storia piena di ombre e gravami e che nella battaglia per l’egemonia e per la conquista del senso comune, per divenire pensiero dominante è stata certamente liquidata anche per gravissimi errori che in quella storia si sono stratificati. Ma io continuo a dire che il ruolo del pensiero critico e di una intellettualità autonoma debba essere anche quello di cercare di combattere perché i bilanci siano meno sbrigativi e meno liquidatori…
Di nuovo, torniamo a noi. Il punto è questo: Marx prevale come uno sberleffo. È come se dicesse: “passano i lustri, passano i decenni, avete fatto di tutto per liquidarmi, anche per mettermi sul conto tante responsabilità che non mi pertengono e io risorgo sempre di nuovo…”
Un’astuzia della storia….
Un caratteraccio anche in questo!
Il terzo posto di Hume sembra, anche questo, significare che la filosofia che viene cercata è una filosofia beffarda e forse ci dice qualcosa rispetto alla “domanda di filosofia” di cui di solito si sente parlare.
Vorrei crederlo ed in parte è così, nonostante i tentativi che ben conosciamo, anche in Italia, di rovinarci la vita e quel poco che rimane delle nostre menti con speculazioni metafisiche. Questo penso che in parte sia vero: c’è una richiesta di parlare delle cose vere, della vita, dell’esperienza. Però bisogna ricordare che Hume è saltato fuori solo in subordine a Mill, che l’Economist avrebbe voluto, apologeta di una forma di società e di un’idea ben precisa: il capitalismo inglese nella sua fase eroica. Non riuscendo a fare prevalere Mill ci provano con Hume…