Intervista a Francesco Maringiò*

*Coordinatore Nazionale dei Giovani e Comunisti del PRC

Francesco, tra pochi giorni avrà inizio il Festival Mondiale della Gioventù, a Caracas. Puoi spiegare a chi legge quest’intervista di che cosa si tratta e qual è la sua importanza, qual è l’investimento che i GC devono fare?

Il primo Festival Mondiale della Gioventù si tenne a Londra nel 1945 dove, all’indomani della tragedia della seconda guerra mondiale, i rappresentanti delle organizzazioni giovanili antifasciste di 63 Nazioni si incontrarono per riaffermare l’unità praticata nella lotta contro il nazi-fascismo e conservare gli ideali della pace e della solidarietà internazionalista.
Con il passare del tempo, venuto meno inevitabilmente questo frontismo antifascista, il Festival si caratterizzò come elemento di confronto all’interno della gioventù progressista e comunista, con un impegno particolare nella lotta contro l’imperialismo e la guerra.
Dopo l’89 e dopo il crollo del blocco sovietico ci fu una crisi e solo recentemente, grazie innanzitutto all’organizzazione giovanile comunista cubana ed, in Europa, grazie ai compagni portoghesi e ai greci, il Festival ha riacquistato un nuovo impulso e oggi si è in grado, tutti insieme, di proporre un appuntamento mondiale di straordinaria importanza, con il più grande numero di delegati da tutti i continenti. È un appuntamento ricco anche simbolicamente, perché si svolge in quel Venezuela che oggi ha assunto un ruolo di decisiva e strategica importanza per tutta l’America latina, grazie a Chavez e alle sue politiche.
Anche i Giovani Comunisti devono capire, più di quanto non abbiano sinora fatto, quanto è importante questo evento. Avrei preferito un investimento maggiore, a livello centrale, a partire dalla costruzione di un Comitato nazionale preparatorio per il Festival che purtroppo non c’è stato. L’Italia è l’unica nazione al mondo senza un comitato preparatorio: si sarebbe dovuto fare, magari insieme ad altri soggetti anti-imperialisti con cui spesso lavoriamo, gomito a gomito, all’interno dei movimenti e nelle realtà locali.

Può esistere un legame tra le esperienze di alternativa al capitalismo oggi in campo (penso innanzitutto a Cuba e al Venezuela) e la pratica di un’organizzazione comunista in Occidente? Si può parlare del Venezuela come di un “modello”…

Penso che modelli in assoluto non ce ne possano essere perchè ogni esperienza statuale ha un importanza forte per il proprio popolo e per la propria situazione concreta.
Penso invece che ci debba essere una sinergia vincolante tra il ruolo anti-imperialista e progressista di alcuni paesi (Cuba, il Venezuela, senza dimenticare il Vietnam, ecc.) e un orientamento anch’esso anti-imperialista dei movimenti e dei popoli dei paesi a capitalismo avanzato. Questo rappresenterebbe una novità interessante nella sinistra mondiale.
Faccio un solo esempio: a novembre a Cuba ci sarà una conferenza internazionale contro la presenza delle basi statunitensi nel mondo. Cuba si fa oggi portatrice di questa lotta: il movimento contro la guerra in Italia deve saper far vivere, qui da noi, questo appuntamento moltiplicando le iniziative di sensibilizzazione e di lotta. C’è una convergenza oggettiva di interessi, dobbiamo semplicemente saperla mettere a valore.

Che ruolo possono giocare i movimenti di massa nella fase che stiamo vivendo e quale pensi sia lo stato di salute dei movimenti oggi, in Italia?

Certamente i movimenti possono e devono, per loro natura, giocare un ruolo decisivo nell’avanzata della coscienza anti-capitalistica e anti-imperialista e nella costruzione di un’iniziativa politica forte. Un ruolo, insomma, oggettivamente importante.
Oggi penso che in Italia il dibattito sul movimento sia in parte falsato, soprattutto dentro Rifondazione Comunista. Credo che ci siano, e vadano valorizzati, alcuni elementi avanzati: penso per esempio alle dimensioni e alle rivendicazioni che anche recentemente il movimento contro la guerra ha assunto in Italia. Penso tuttavia che, a fianco di questi elementi positivi, ce ne siano altrettanti di effettivo e reale arretramento: si pensi per esempio alla mancanza totale di mobilitazione oggi sul problema del salario, le difficoltà enormi del movimento dei lavoratori.
È in generale una situazione diversificata e complessa; mi sembra comunque che non si stia attraversando una fase espansiva.

Ci stiamo avvicinando alla III Conferenza Nazionale dei Giovani Comunisti. Quali sono le priorità politiche che metteremo in agenda?

Alla vigilia della III conferenza i GC sono un’organizzazione presente in tutto il territorio nazionale ma in modo fortemente disomogeneo: siamo quasi assenti nelle grandi città del Nord.
Inoltre, nella quasi totalità delle realtà, abbiamo un’organizzazione ferma sul piano della costruzione dell’iniziativa politica (si costruisce poco o nulla sul tema dei salari, ma anche sul tema centrale della lotta alla guerra).
Penso dunque che vada fatto, in maniera chiara e non reticente, un bilancio complessivo sulle esperienze vissute, a partire dalla scelta dell’internità totale non ai movimenti (ci mancherebbe!) ma a quel laboratorio dei disobbedienti che ha costituito invece, dal mio punto di vista, un vero e proprio fallimento.
Bisogna discutere concretamente di cosa fare con il mondo del lavoro, con le associazioni di massa, con il mondo della cultura e con gli studenti: una discussione che porti a riflettere sui nostri limiti ma soprattutto cerchi di rispondere alla domanda, fin qui sempre elusa, sulla nostra organizzazione, ancora debole, rissosa e carente nella proposta e nell’iniziativa politica a dieci anni dalla sua costituzione.