Le chiedo, innanzitutto, un commento sulla vicenda Sult – Alitalia, che è consistita principalmente nell’estromettere dalle trattative sindacali un sindacato autonomo molto radicato fra i lavoratori del trasporto aereo e che rappresenta circa il 60% degli assistenti di volo “sindacalizzati”…
Ci sono due aspetti della questione, uno che riguarda la democrazia, che può essere talvolta scomoda ma che è lo strumento essenziale attraverso il quale governare i processi sociali. È semplicemente raccapricciante che qualcuno possa pensare che un’organizzazione rappresentativa dei lavoratori sia estromessa da un tavolo negoziale, perché questo significa in sostanza una sola cosa, che la controparte intende legittimare l’interlocutore più comodo al tavolo delle trattative, se lo sceglie, semplicemente! Come si faceva un tempo e come i nostri governanti, nostalgici di quelle antiche fasi vorrebbero fare oggi, cioè, in sostanza, individuare l’interlocutore più accomodante e realizzare con un sindacato di comodo accordi che abbiano paradossalmente efficacia per tutti i lavoratori. Abbiamo del resto una storia recente che riguarda non un sindacato autonomo, ma il più grande sindacato dell’industria italiana, cioè la FIOM, che non è riuscito a validare attraverso il voto dei lavoratori, che aveva fortissimamente richiesto, un contratto che è stato realizzato da organizzazioni sindacali minoritarie. Dicevo prima, che la democrazia può talvolta essere anche scomoda ma, quando vale questo principio, deve valere per tutti e questo significa una cosa sola, che i lavoratori devono poter legittimare con il voto gli accordi che vengono stipulati e che questo oltretutto è uno strumento formidabile per censurare o inibire all’origine velleità autoreferenziali del sindacato. Il processo di burocratizzazione di un sindacato passa anche attraverso l’assenza di democrazia, democrazia delle regole. Talvolta queste regole ti vedono soccombere, ma ciò ti mette di fronte, parlando naturalmente del merito, all’esigenza di rivedere e di considerare con più attenzione le tue strategie. Il monopolio della rappresentanza è un vecchio retaggio che non può essere più invocato da nessuno, tantomeno da forze minoritarie.
Stiamo assistendo ad un duro attacco, su scala internazionale, al ruolo della rappresentanza sindacale, che avviene principalmente nelle grandi multinazionali statunitensi, ma che trova echi e consensi in diverse parti del mondo. Su Il Manifesto del 25 agosto scorso venivano riportate le parole di Alberto Orioli il quale aveva scritto, su Il sole 24 ore, che “il sindacato è un privilegio del capitalismo occidentale”: lei pensa che in Italia ed in Europa sia davvero in pericolo la rappresentanza sindacale?
Si, ed è in pericolo la stessa democrazia, non la democrazia del lavoro o la democrazia sindacale, ma la democrazia tout court! Perché quando si pensa che possa esistere un’unica catena di comando che passa dall’impresa e che lì si esaurisce, cioè, in sostanza l’impresa diventa l’elemento regolatore dei rapporti sociali, unico ed unilaterale, vuol dire insomma che siamo ad un passo dal totalitarismo, un totalitarismo sociale gestito direttamente dal capitale, un capitale onnivoro, vorace, che sussume in sé ogni altra regola e che non accetta condizionamenti esogeni esterni. La stessa vicenda cinese ci fa capire dove si possa arrivare, coniugando in modo perverso un capitalismo ed un liberismo selvaggi, che violano disinvoltamente ogni regola sociale, ambientale e costituzionale, e dall’altra parte il partito unico, cioè una forma autoritaria di governo della politica che si piega e realizza un compromesso brutale con il capitale più avventurista. Credo che questo sia il peggio che possa capitare e che ci sia qualcuno in Occidente che pensa che le tradizioni culturali di democrazia, la storia non solo dell’Italia, ma dell’intera Europa, possa assumere questa torsione così pesante, è semplicemente inquietante, perché vuol dire che ciò che una parte delle classi dirigenti sta coltivando, è appunto l’idea che si possa ritornare a regimi politici che possono portare solo sciagure.
Ci sarebbe su questo punto molto da discutere e da approfondire, come del resto dimostra una amplissima letteratura ed un ricchissimo dibattito prodotti sul tema. Cambiamo argomento ed entriamo nel merito del prossimo congresso nazionale della CGIL: quale ruolo dovrà assumere il più grande sindacato d’Italia nei luoghi del conflitto capitale-lavoro, considerando che non sarà un ruolo facile (vista anche la posizione della Cgil proprio nella vicenda Sult-Alitalia, in cui c’è stata una netta contrarietà all’atteggiamento del sindacato autonomo)? Dal momento che è messo in discussione il ruolo stesso del sindacato, la Rappresentanza, sarà il cardine della futura politica sindacale della Cgil?
Credo proprio di sì. Io, insieme a Rinaldini e ad altri compagni sono il firmatario di una tesi che sul tema della democrazia pone esattamente questo problema, il problema cioè della sovranità dei lavoratori come condizione della ripresa anche di una soggettività politica, che non può essere espropriata. Cioè, se si sostiene bizzarramente che i lavoratori sono il solo soggetto politico che non può decidere e definire in modo dirimente i contrasti che intervengono all’interno delle organizzazioni sindacali o semplicemente validare, con il proprio consenso o respingere, con il proprio dissenso, delle ipotesi che vengono costruite, se questo non avviene, vuol dire accettare l’idea che il mondo del lavoro, non soltanto la classe operaia in senso stretto, è deprivato di una soggettività politica che invece è un elemento essenziale per la nostra democrazia. Insisto nel dire non soltanto per la democrazia del lavoro, ma per la democrazia tout court. Se si nega ad un soggetto sociale la sovranità, vuol dire negargli il ruolo politico, questo è il punto. Credo che questo sia l’elemento discriminate della politica futura della Cgil e mi auguro, per esempio, che lo stesso parlamento e le formazioni politiche che nel futuro dovranno governare questo paese, e mi auguro in discontinuità con il governo attuale, si pongano questo problema. Diventerebbe paradossale chiedere alle forze politiche di porre il problema della rappresentanza in via legislativa, se per primo non se lo ponesse l’organizzazione sindacale che quei lavoratori rappresenta.
E’ questo, ovviamente insieme ad altri importanti elementi, che dovrà chiedere la Cgil alle forze di centro-sinistra che si pongono l’obiettivo di governare?
Penso proprio di sì, perché altri elementi di più ampia portata strategica, come il modello contrattuale e le scelte rivendicative, se sono incardinate su un modello di democrazia che restituisce protagonismo ai lavoratori, costringe lo stesso sindacato ad una sua riforma democratica interna ed a considerare che i gruppi dirigenti non sono gruppi dirigenti pletorici ed inamovibili, ma devono anche essi misurarsi con il grande tema della conquista del consenso e della pratica democratica. Se questo avviene si dà anche, e non è l’elemento meno rilevante, un contributo al processo di “sburocratizzazione” del sindacato.