Intervista a Claudio Grassi. Lo stato del PRC e le prospettive della sinistra di alternativa

In questi ultimi giorni Diario prima e il manifesto poi hanno pubblicato alcuni interessanti approfondimenti sui tavoli programmatici dell’Unione, svelando all’opinione pubblica lo stato dei lavori. Qual è la tua opinione in merito ai contenuti fin qui emersi?
Ho letto ciò che è uscito sui giornali ed il quadro, per quanto ci riguarda, non mi pare rassicurante. Prodi resta ovviamente meglio di Berlusconi, ma ciò, per noi, non è sufficiente. Occorre infatti non soltanto un governo migliore rispetto a quello di Berlusconi ma anche che si caratterizzi, rispetto ai governi di centrosinistra del 1996 e del 1998, per alcuni elementi di discontinuità che invece non emergono da questi materiali.
Quali sono le rotture che auspichi? In cosa questi materiali non ti convincono?
Sulla politica estera manca innanzitutto una scelta netta a favore di una politica di pace e di disarmo. La valutazione positiva che la parte maggioritaria del centrosinistra ancora oggi dà della guerra del Kosovo è, da questo punto di vista, emblematica. Ma sono tante le scelte concrete che ci preoccupano. Non c’è, in quei documenti, un riferimento all’urgenza del ritiro immediato ed unilaterale dei militari italiani dall’Iraq, e questo è un punto grave. Ma il punto ancora più grave è che in quel documento si sostiene che le forze che sostituiranno un domani i militari italiani dovranno aiutare la “già avviata transizione democratica”. In Iraq non è in corso alcuna transizione democratica! Certo non pretendiamo che nel documento dell’Unione si riconosca la legittimità della Resistenza irachena ma nemmeno possiamo accettare che si sostenga che l’attuale governo iracheno è legittimo e democratico. Quello è un governo che vive soltanto grazie alla presenza delle truppe militari straniere, in particolare di quelle americane.
L’altra grave omissione riguarda i militari italiani presenti negli altri scenari di crisi internazionale, dei quali non si propone alcuna forma di ritiro. È chiaro quindi che se il futuro governo non intenderà, come oggi pare, procedere al ritiro dei militari dall’Afghanistan, dovrà conseguentemente provvedere al rifinanziamento della missione. Ed è del tutto evidente che il PRC non potrà mai votare a favore di quel rifinanziamento.
Una terza nota dolente riguarda le vicende mediorientali. È noto a tutti ciò che è avvenuto alla manifestazione promossa dal Foglio, alla quale hanno partecipato quasi tutti gli esponenti del centrosinistra. Il fatto è grave perché quella era una manifestazione in difesa di uno Stato – Israele – che, presentato come vittima, è uno degli Stati più armati del mondo, occupa illegalmente territori non suoi e non rispetta decine di risoluzioni delle Nazioni Unite. Si è ribaltata per l’ennesima volta la verità dei fatti: l’aggressore diventa l’aggredito e, soprattutto, nessuna parola si è detta e nessun gesto si è compiuto, nemmeno da parte dell’Unione, perché al popolo palestinese sia finalmente riconosciuto il diritto di vivere in un proprio Stato.
Questo per quanto riguarda la politica estera. Ed in politica interna?
Recentemente, dal palco della conferenza programmatica dei DS, Prodi ha attaccato la nuova legge elettorale. Ma non lo ha fatto come sarebbe stato giusto, per criticare il premio di maggioranza o la modalità di voto al Senato, ma perché troppo proporzionalista. Prodi dice testualmente che questa legge, in quanto legge proporzionale, andrebbe sostituita con una legge maggioritaria! Ma penso a tante altre questioni programmatiche per noi fondamentali. Tutte quelle leggi di cui abbiamo sempre chiesto l’abrogazione (la Legge 30, la Moratti, la Bossi-Fini, la controriforma delle pensioni) in quei documenti programmatici verrebbero, nella migliore delle ipotesi, sterilizzate delle parti peggiori. Sulle scelte di politica economica non è che non si sentano anche tante buone intenzioni e anche importanti affermazioni per le quali sarebbe improponibile una politica di sacrifici. Ma poi la cosa certa che viene ribadita, da Prodi in primis, è che dobbiamo rientrare nei programmi di riduzione del debito che Berlusconi ha sforato. Ciò che non è chiaro è dove verranno reperite le risorse per fare questo e per redistribuire ricchezza ai settori sociali colpiti in questi anni da governi tecnici, di centro-destra e di centro-sinistra. E non vorrei che riemergesse la solita litania del “bisognerebbe fare ma non ci sono i soldi”.
Siamo poi di fronte ad una offensiva oscurantista e reazionaria della Chiesa Cattolica alla quale alcune forze dell’Unione rispondono con una totale subalternità ed altre con sterili balbettii. In questo contesto è stata avanzata la proposta di “assegni di gravidanza” di Bindi, Turco e Fioroni che, non a caso, ha ricevuto plateali apprezzamenti da numerosi rappresentanti della destra. E anche sulle grandi opere, come la Tav in Val di Susa o il Ponte sullo stretto di Messina, che deturpano l’ambiente e non risolvono per nulla i problemi del Paese, non si ha il coraggio di mettere nero su bianco che l’Unione ha una politica contraria e alternativa a quella della destra.
Che valutazione dai del lavoro svolto dal Partito fino ad ora in questi tavoli di confronto?
Non è in discussione la positività del lavoro svolto soggettivamente dai compagni. Il problema nasce dall’approccio con cui si partecipa a queste discussioni programmatiche: l’obiettivo è portare a casa il massimo possibile, ma non essendo prevista un’ipotesi di una nostra collocazione diversa rispetto alla presenza nel governo ci si deve per forza accontentare del risultato ottenuto, anche se fosse insoddisfacente.
Viene da sorridere a rileggere gli interventi di quei compagni che nel corso del dibattito congressuale dicevano che noi eravamo quelli dei tavoli e loro quelli dei movimenti. Ma questi, scusate, non sono tavoli? Oggi non decidono le tanto ridicolizzate segreterie dei partiti, che hanno nominato, senza che nessuno ne sapesse nulla, i rappresentanti nelle varie commissioni? Forse si poteva allora rispondere alle nostre argomentazioni e alle nostre obiezioni senza ridicolizzarle, con argomenti un po’ più solidi dato che oggi, dopo averli criticati, ci si ritrova a praticarli.
Pochi giorni fa si è riunito il Comitato politico nazionale del Partito. In primo luogo, quale ti sembra lo stato di salute del PRC?
Non mi pare per nulla buono. Siamo in un trend di calo degli iscritti che continua da anni; a parte la crescita temporanea dello scorso anno determinata dal congresso, ma ciò aumenta la negatività della situazione. A questo trend corrisponde anche un calo costante delle vendite di Liberazione.
Temi come l’autofinanziamento, l’acquisto delle sedi, il radicamento nei luoghi di lavoro sono sempre più assenti dal nostro dibattito. I nostri circoli sono in difficoltà e la loro attività sul territorio si è diradata.
Credo che il nostro Partito paghi le conseguenze di una gestione maggioritaria voluta al congresso, che si è rivelata sbagliata e negativa per il Partito: questa gestione ha irrigidito la contrapposizione interna creando litigiosità e compartimenti stagni. Le minoranze vengono tollerate ma non riconosciute come soggetti portatori di un’opzione politica. Di queste minoranze – e soprattutto la nostra, che rappresenta oltre un quarto del Partito – si continua a ragionare come se fossero un impaccio, un problema, un ingombro. D’altra parte basta fare un confronto con altri partiti e con altre minoranze che praticano contrasti anche più forti (Mussi e Salvi hanno dichiarato la loro indisponibilità a fare parte del nuovo “partito democratico” e cioè la proposta strategica del loro partito) e tuttavia godono di spazi e visibilità ben maggiori dei nostri. Tutto questo, intrecciato ad un forte calo dell’entusiasmo e della passione, ha portato alla riduzione della capacità di lavoro delle nostre strutture periferiche.
Di cosa avrebbe bisogno allora il Partito per invertire la tendenza?
Ci vorrebbe un grande segnale unitario, ancora più necessario perché siamo ormai in vista di passaggi difficilissimi ed importantissimi come le elezioni politiche e la “sfida delle sfide” per Rifondazione Comunista, la presenza all’interno di un governo nazionale. Se vi fosse questo grande segnale unitario per rafforzare Rifondazione Comunista noi saremmo pronti a coglierlo, ovviamente senza rinunciare alle nostre convinzioni politiche. A questo proposito, arriva da alcuni congressi regionali qualche segnale positivo, anche se altri congressi mantengono staticamente vecchie divisioni. Per invertire una tendenza così problematica ci vorrebbe un colpo di reni: bisogna puntare ad una gestione unitaria e plurale del Partito, ciò potrebbe ridurre l’irrigidimento congressuale.
Al CPN il Segretario nazionale ha posto il tema della costruzione della sezione italiana del Partito della Sinistra Europea come strumento per l’affermazione della sinistra d’alternativa, definendolo il “cuore della discussione politica”. Sono così intrecciati i due temi? Ci puoi spiegare i termini del progetto ed il giudizio che ne dai?
Su questa proposta noi avanziamo rilievi critici per due ordini di motivi. Innanzitutto non abbiamo condiviso e non condividiamo la proposta complessiva, cioè quella della costituzione di questo soggetto europeo, il Partito della Sinistra Europea, e non per partito preso, perché anche noi siamo interessati alla costituzione di una soggettività politica europea. Il punto è che la Sinistra Europea, per come si è costituita e per le modalità con cui si è realizzata, ha diviso anziché unire le forze che si muovono in Europa a sinistra delle socialdemocrazie. In secondo luogo crediamo che associando l’adesione alla Sinistra Europea con la costituenda sinistra di alternativa si riduce di molto lo spettro della stessa sinistra di alternativa. È del tutto evidente, infatti, che molte soggettività sia politiche sia di movimento non riconoscendosi nella Sinistra Europea non ne faranno mai parte e tuttavia esse sono parte importante e decisiva della sinistra di alternativa. Si determina così una contraddizione: nella Sinistra Europea ci sarebbero compagni come Folena e non altri compagni come Salvi e Mussi e non ci sarebbero giornali come il manifesto, l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, sindacati di base e altre associazioni. È quindi un’operazione che rischia di introdurre ulteriori elementi di divisione nella sinistra d’alternativa.

Qual è allora la proposta che avanzi?
Ritengo che serva una proposta più coraggiosa, non elettoralistica ma di prospettiva. Occorre partire dai contenuti e non dalle soggettività, senza forzature organizzative, perché la base di costruzione non può che essere la condivisione di una proposta programmatica. Si parta dalla proposta programmatica e al fianco di questa si metta in campo una proposta di lavoro che preveda lotte, manifestazioni, iniziative.
Abbiamo parlato prima della difficoltà ad inserire nei documenti dell’Unione la parola d’ordine del ritiro immediato dall’Iraq. Ma perché, mi chiedo, tutte le forze che invece chiedono a gran voce ed immediatamente quel ritiro non mettono in campo una grande manifestazione nazionale con quella parola d’ordine? Questo è un obiettivo concreto che potrebbe associarsi ad un obiettivo altrettanto chiaro ed altrettanto concreto: la solidarietà con il popolo palestinese, il popolo più martoriato del mondo, che in questi anni, francamente, è stato abbandonato anche dalle forze della sinistra di alternativa che avrebbero dovuto sostenerlo con maggiore decisione. Oppure, per venire alle questioni sociali, perché non produrre un’iniziativa contro il carovita, per la redistribuzione della ricchezza, per l’eliminazione dell’ICI sulla prima casa, per un intervento del fisco più equo che quindi colpisca le grandi rendite e i grandi patrimoni? Perché non produrre su questi terreni, dove la convergenza è assai significativa, non solo degli accordi elettorali ma anche delle forti iniziative comuni di lotta e mobilitazione nel Paese?
Penso anche ai diritti civili, ad una forte iniziativa in difesa dell’aborto e della laicità dello Stato, per i diritti dei migranti: ci sarebbe urgente bisogno di una vera e propria mobilitazione generalizzata di tutte le forze della sinistra di alternativa. Bisogna agire subito. La Margherita e i DS hanno già fatto le loro conferenze programmatiche, ponendo una seria ipoteca sul programma dell’Unione. Cosa aspetta la sinistra di alternativa – Rifondazione Comunista in primo luogo – a fare altrettanto? Quando diciamo al Paese e al nostro popolo quali sono le nostre priorità programmatiche? Questo processo potrebbe finalmente sottrarci alle infinite discussioni su contenitori ed elezioni (dalla Consulta alla Camera di Consultazione alla lista Arcobaleno) all’interno delle quali si colloca – temo – anche l’ipotesi di una sezione italiana della Sinistra Europea. L’obiettivo è fare pesare nella società, attraverso il conflitto e la mobilitazione, la forza della sinistra d’alternativa. All’interno di questo percorso di lotta, e non a tavolino, possono essere costruiti anche livelli più avanzati di unità politica. Questa è la riflessione che noi avanziamo sul tema della sinistra di alternativa.