Care compagne cari compagni,
come è stato più volte sottolineato, questo nostro VI Congresso appare come un Congresso di svolta, tanto rilevanti sono le posizioni politiche a confronto, tanto alta la posta in gioco per il nostro Partito, ma più in generale per tutta la sinistra italiana. Un congresso che si celebra in un quadro politico nazionale e internazionale di profonda crisi, di profonda instabilità.
All’indomani del 13 giugno si parlò, ricordate, di governo in stato confusionale, dilagò l’ottimismo, si arrivò persino a teorizzare l’irreversibiltà della crisi del governo delle destre e una fine anticipata di questa legislatura. Oggi, la destra è meno divisa e le forze di opposizione sono, sino ad ora, incapaci di prospettare, a questo Paese, una reale alternativa di governo. Il centrosinistra, nel momento di maggiore difficoltà della destra, non ha saputo sviluppare una forte iniziativa di opposizione, attardandosi, invece, a discutere di formule politiche astratte (i contenitori), di procedure che consolidano, di fatto, un modello bipolare, maggioritario, personalistico, che noi dobbiamo contrastare e perdendo di vista quello che era ed è l’obiettivo centrale: un serio confronto sui contenuti programmatici. Nessuna discussione sui nomi, listoni, organigrammi di un eventuale accordo di governo delle attuali forze di opposizione, ha ridotto minimamente l’abisso che separa il Paese reale dalla politica politicante. E tutto questo mentre le classi lavoratrici di questo Paese, mai come oggi, sono colpite pesantemente dai provvedimenti legislativi di questo governo antipopolare, mentre salari, stipendi, pensioni sono divorati da un’inflazione reale che di gran lunga supera quella programmata.
Tutto questo mentre l’aggressività dell’imperialismo non accenna a diminuire, le guerre imperversano, le occupazioni militari continuano, centinaia di migliaia di vittime civili pagano il prezzo delle contraddizioni di questo nostro modello di sviluppo, di questo capitalismo che non ha limiti nell’uso della forza e della violenza. Il punto è che nonostante importanti e significativi momenti di conflitto sociale che noi abbiamo valorizzato e sostenuto (Melfi, Scansano, le lotte della Fiom), le difficoltà di questo sistema non precipitano ancora in un quadro organico di crisi. E allora è per questo che già da tempo il Partito avrebbe dovuto porre con forza, all’ordine del giorno dell’agenda politica di tutto il centro sinistra, i contenuti di una reale prospettiva di alternativa, una risposta chiara alle politiche antisociali, classiste e guerrafondaie di questo governo. E invece abbiamo sbagliato! Non abbiamo messo a frutto quegli 11 milioni di voti che, insieme a noi, si erano espressi per l’estensione dell’art. 18, non abbiamo adeguatamente valorizzato quel 15% di consensi ottenuti nelle elezioni di giugno, dalla sinistra di alternativa, una componente del quadro politico, indispensabile non soltanto per vincere le prossime elezioni politiche, ma determinante per influenzare in modo significativo la piattaforma programmatica dell’intera coalizione di centrosinistra. Non abbiamo cioè, saputo creare – ma questa è l’urgenza di oggi – un luogo di confronto permanente, aperto e di azione unitaria nel quale tutti (Partiti, sindacati, movimenti, associazioni, singoli), potessero contribuire alla costruzione di un movimento fondato sul fare e impegnato nella elaborazione di una piattaforma programmatica comune a tutte le forze in campo; un’area cioè che si ritrovasse compatta attorno ad alcuni temi programmatici di fondo, destinati a pesare, poi, nel confronto con le componenti moderate del centrosinistra. In questo lavoro di costruzione si sarebbe dovuta impegnare Rifondazione Comunista. Ma così non è stato.
Si è scelta una strada diversa: l’entrata nella GAD (oggi Unione), mai discussa negli organismi dirigenti; l’accettazione (gravissima) del vincolo di maggioranza; le primarie; l’entrata TOUT COURT di Rifondazione Comunista, con suoi ministri, in un eventuale futuro governo di centrosinistra.
E’ in questo contesto, care compagne e compagni, che va inquadrato il nostro VI° Congresso, ed è su questa base che dobbiamo leggere e interpretare il voto dei nostri iscritti. Un voto congressuale nel quale vi è, a mio avviso, un elemento davvero significativo: e cioè proprio quel 41% di compagni che hanno espresso un profondo dissenso di merito, rispetto alla linea politica avanzata nella mozione di maggioranza e di metodo sulla conduzione della fase precongressuale e congressuale. Questi risultati ci consegnano cioè un partito diviso e frammentato, il cui gruppo dirigente non ha voluto elaborare e condividere una linea che raccogliesse una significativa maggioranza. Si è ritenuto opportuno, sbagliando, gestire il Partito a colpi di maggioritario, quel maggioritario che combattiamo fuori di noi, ma che accogliamo, di fatto, al nostro interno.
Del resto come molti compagni della mozione di maggioranza hanno sottolineato, anche al Congresso della Federazione di Roma, la categoria delle sintesi è considerata un ferrovecchio, retaggio di una oramai superata forma-partito. E allora questi sono i frutti: il 59% è certamente una maggioranza, ma non è un gran risultato, compagni! Divide in due questo Partito, proprio nel momento in cui i pesanti impegni e le responsabilità che ci attendono richiederebbero, invece, la forza di una maggiore coesione. Richiederebbero cioè un partito diverso.
E ci auguriamo davvero che i nuovi 12.000 iscritti a Rifondazione Comunista costituiscano risorse disponibili, nel concreto dell’iniziativa politica, all’impegno, che attenderà ogni circolo, da subito dopo questo nostro Congresso. Un Partito diviso, dicevo, e certo una linea politica in perfetta discontinuità, specularmente opposta a quella dello scorso Congresso (che sosteneva la teoria delle due destre, e su questa base argomentava “l’esaurimento di margini di riformismo”, considerava la CGIL irriformabile e quindi individuava nei Disobbedienti la componente più significativa del movimento), una linea politica, dicevo, oggi opposta, che candida il Partito della Rifondazione Comunista al Governo con le attuali forze di opposizione, senza discutere di programmi e di contenuti, non poteva essere facilmente compresa ne’ metabolizzata.
Così come non è facilmente digeribile, dal nostro corpo militante, quell’impietosa critica della storia del movimento operaio e comunista, considerata oramai esaurita e i cui più grandi leader di riferimento, cioè i padri del comunismo novecentesco, sono stati dichiarati morti, non solo fisicamente. E ancora, compagne e compagni, una gran parte dei nostri militanti, davvero non ha compreso e non ha condiviso l’assunzione della teoria della non-violenza come nuovo tratto identitario di Rifondazione Comunista. Non siamo certo noi a decidere le forme di lotta da praticare e, in ogni caso, se siamo ancora internazionalisti, dobbiamo sostenere con forza e senza ambiguità tutti quei popoli che resistono, loro malgrado, con le armi, alle occupazioni militari, alle guerre imperialiste. Non siamo violenti per questo, ne’ questo attenua la condanna netta del terrorismo e delle sue vittime civili. Ma va ribadito con forza che la Resistenza armata contro l’invasione non è terrorismo e che la responsabilità della violenza in tutto il pianeta, incombe oggi sul terrorismo bellico di Bush e Sharon. E Bush e Sharon mai saranno, dai comunisti, considerati ospiti graditi o interlocutori per la costruzione di un mondo di pace.
Per tornare al nostro Congresso, la conduzione monocolore della fase precongressuale e congressuale ha certamente prodotto delle ripercussioni sul piano della democrazia interna di questo Partito, del suo legittimo pluralismo, dell’espressione della sua ricca dialettica. Nei nostri circoli, nel nostro corpo militante ciò ha prodotto disorientamento e malessere. Non credo proprio che il nostro sia un Partito in salute. Ed è proprio per tutte queste ragioni che avremmo voluto un congresso diverso, un congresso unitario, non una conta. Una modalità che non abbiamo condiviso e che rende ora difficile gestire questa delicatissima fase politica, che condurrà il nostro Paese, tra poco più di un anno, alle elezioni politiche. Non possiamo questa volta fallire e siamo ancora in tempo a correggere i nostri errori e a chiarire ai nostri interlocutori che se un accordo di governo costituisce il nostro obiettivo più alto, tuttavia la strada è ancora in salita e quell’obiettivo potremmo non raggiungerlo. Che tutto dipenderà dai contenuti e dai programmi, che da sempre, per i comunisti, vengono prima degli schieramenti e delle persone.
Non diamo nulla per scontato! Il nostro obiettivo è certamente quello di sconfiggere le destre oggi al governo di questo Paese: e sarebbe, per Rifondazione Comunista, letale non intercettare quella domanda, quel bisogno sociale di massa, che viene dalle nostre classi di riferimento. Ma, accanto a questo, nostro compito fondamentale, compito dei comunisti, è quello di costruire una reale alternativa programmatica, condivisa con le altre forze di opposizione, un percorso cioè nel quale il nostro Partito espliciti le condizioni necessarie per un suo eventuale ingresso in un futuro governo di coalizione.
Ecco perché occorrono i tanto citati PALETTI: non perché si voglia una trattativa asfittica e chiusa nelle stanze degli Stati maggiori, ma perché, per impegnare il Partito in una responsabilità di governo (senza possibilmente uscirne con le ossa rotte), occorre che vi sia una praticabilità minima di questa opzione, costruita come dicevo all’inizio assieme ai movimenti, alle forze sociali e politiche, che con noi vorranno condividere questo cammino.
E dunque: in primo luogo considero irrinunciabile e non negoziabile un impegno formale al rifiuto della guerra, da chiunque dichiarata, ONU compresa. Il movimento internazionale contro la guerra esige, oggi più che mai, la fine dell’occupazione dell’IRAQ, il ritiro immediato delle truppe militari, a partire da quelle italiane. Esige che gli Stati Uniti cessino di minacciare la Siria, l’Iran, il Venezuela, Cuba. Sostiene il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e alla costituzione di uno Stato. Il movimento contro la guerra appoggia il diritto del popolo iracheno a resistere contro l’occupazione. Per questo il 19 marzo, a due anni dall’aggressione imperialista all’Iraq, il movimento fa appello ad una straordinaria manifestazione mondiale contro la guerra. In secondo luogo, ritengo cruciale il terreno della difesa e della riconquista dei diritti del lavoro. C’è o no in Italia una questione salariale? Si! E allora chiediamo alle altre forze del centrosinistra di inserire, nel futuro programma di coalizione, una legge che consenta un recupero automatico, sull’inflazione reale dei salari, degli stipendi, delle pensioni.
Per concludere, compagni, io credo che il lavoro da fare è molto ma che, nonostante tutto, il Partito della Rifondazione Comunista sia una preziosissima risorsa per la politica di questo paese; l’unico luogo dove oggi i comunisti possano realmente sentirsi nella propria casa. Una casa che dobbiamo certamente preservare e difendere, a partire dalle proprie fondamenta (le nostre radici più profonde), presupposto di grandi finestre aperte sul mondo.