Il DPEF assume tre obiettivi generali condivisibili: risanamento, crescita ed equità. Tuttavia, il prius è costituito dal risanamento. Ciò rischia di pregiudicare il conseguimento degli altri due obiettivi.
E’ certamente vero che il paese evidenzia una scarsa produttività e un consistente debito pubblico che limita le possibilità di sviluppo, ma un’azione mirata ad ottenere una brusca riduzione del debito non costituisce una soluzione, giacché i benefici rischiano di essere inferiori agli oneri. Il DPEF invece – ed è questo uno dei motivi principali di critica – tiene fermo come “stella polare” l’abbattimento rapido del deficit. La manovra di 35 miliardi di euro per il 2007 risponde a questa logica ma rischia di produrre effetti recessivi. E’ quindi preliminare la ridefinizione dell’entità della manovra, della sua estensione temporale e, più in generale, dei vincoli macro-economici che s’intendono porre nel corso dell’intero quinquennio. La posizione di Rifondazione Comunista si sostanzia nella necessità di ridurre la portata della manovra distribuendola almeno nel biennio 2007-2008. Nel lungo periodo, inoltre, va previsto un piano di rientro del debito lento e graduale. Non si comprende per quale motivo non si possa riaprire un confronto con le autorità dell’Unione Europea per ottenere tali condizioni. Il rientro rapido del debito non può costituire un dogma.
A quest’impostazione di carattere generale dovrebbe abbinarsi un intervento coerente sul piano dell’equilibrio fra entrate ed uscite. Nel DPEF, nonostante alcune precisazioni, rese recentemente dal presidente Prodi, l’enfasi è posta in particolare sulle spese. Sulle entrate ci si limita a prospettare un intervento rigoroso contro l’evasione e l’elusione fiscale. Quest’indirizzo è del tutto condivisibile, ma è evidente che si tratta di un intervento difficilmente prevedibile negli effetti, specie nel breve periodo. Occorre, quindi, ampliare l’intervento sulle entrate e, a tale proposito, s’impone un incremento del prelievo fiscale sulle rendite finanziarie, oltre che una modulazione in senso fortemente progressivo di tariffe ed imposte.
Ciò che desta più inquietudine, tuttavia, nel DPEF è l’orientamento assunto sul piano della spesa. Coerentemente con l’enfasi che permea il documento sul risanamento, l’intervento di riduzione della spesa costituisce l’asse fondamentale della manovra. Quest’impostazione andrebbe rivista poiché, come è noto, essa può causare un effetto recessivo, deprimendo la domanda interna e rendendo impossibile un intervento efficace al livello sociale. Occorre quindi rendere più lieve l’intervento sulla spesa, riqualificandola, ma senza comprimerla eccessivamente. In realtà, se si osservano i quattro settori di intervento esplicitamente richiamati nel DPEF (sanità, previdenza, pubblico impiego, enti locali) è difficile ipotizzare una rilevante riduzione della spesa a meno di non optare consapevolmente per la riduzione dell’offerta dei servizi e delle garanzie individuali.
La spesa sanitaria nel nostro Paese resta al di sotto di quella media europea; sul piano previdenziale già ora un giovane appena assunto non potrà beneficiare di una pensione adeguata se non ricorrendo alla previdenza integrativa; per ciò che concerne gli enti locali, i tagli attuati negli ultimi anni già hanno provocato l’aumento delle imposte locali e la riduzione dei servizi. Ne consegue che sul piano della spesa l’esigenza di risanamento economico – che significa lotta a sprechi ed inefficienze- non può prescindere dalla necessità di garantire un flusso di risorse che consenta di mantenere gli attuali standard di servizi, ma anche di far fronte ad esigenze inderogabili.
A titolo di esempio: sulla sanità occorre ripianare gli oneri pregressi che ricadono sulle regioni, riequilibrare l’offerta di servizi territoriali(non ancora sufficiente), migliorare il servizio (ad esempio con riguardo alle liste d’attesa), intervenire al sud, come peraltro previsto nel programma dell’Unione. Sugli enti locali l’assunzione del saldo di bilancio non può esaurire la manovra. Esiste una parte dell’incremento di spesa legata al trasferimento di funzioni e ad un’espansione di servizi – indotta dall’emergere di nuovi bisogni sociali – che non può essere ulteriormente compressa. Per questo è ragionevole scorporare dal saldo alcune voci di spesa, come quelle per gli investimenti.La spesa sociale deve essere riqualificata, gli sprechi e le diseconomie eliminate, ma difficilmente essa può essere ridotta senza determinare la crescita del disagio sociale.
Se la disponibilità di servizi sociali incide sui redditi agendo da sostegno, occorre tuttavia essere consapevoli che la tenuta dello stato sociale non risolve il problema dell’enorme squilibrio che si è prodotto in questi anni fra redditi da lavoro, redditi da capitale e rendita. In particolare, è indubbio che l’inadeguata domanda interna trova spiegazione nell’insufficiente tasso di attività e nel rallentamento della dinamica salariale. Il sostegno dei redditi più bassi si pone quindi come esigenza fondamentale. La soluzione trovata a questo problema nel DPEF non è del tutto soddisfacente. L’intervento sul “cuneo fiscale”, da un lato, riduce le entrare e quindi peggiora la situazione finanziaria del Paese, dall’altro lato, non costituisce – come ha rilevato giustamente l’onorevole La Malfa – una misura finalizzata ad un chiaro obiettivo. Pena il peggioramento della situazione dei redditi da lavoro, la destinazione della riduzione del cuneo fiscale dovrebbe privilegiare il lavoro dipendente, configurandosi come misura “parziale di sostegno al reddito. Per le stesse ragioni va previsto il recupero del fiscal drag.
E vengo alla questione dello sviluppo, è evidente che la ripresa della domanda interna costituisce un prerequisito essenziale, ma non è l’unico. Essenziale è un recupero di produttività e un salto di qualità sul piano dell’innovazione. Nel DPEF vi sono, a tale riguardo, numerose indicazioni condivisibili – dalla politica a sostegno della crescita dimensionale delle imprese, agli interventi a favore della ricerca, al sostegno all’export, alle sinergie da attivare a livello di distretti -. Vi sono tuttavia alcuni limiti:
• Non si coglie, infatti, un’indicazione chiara circa la diversificazione produttiva necessaria a ricollocare il Paese nella divisione internazionale del lavoro in una posizione più forte. Il sostegno all’innovazione si risolve nell’intervento sull’esistente, benché sia noto il progressivo indebolimento del Paese nei settori avanzati e la distanza ragguardevole rispetto alle frontiere tecnologiche.
• Al di là dell’offerta di servizi alle imprese o dell’innesco di logiche cooperative in sede locale, la manovra sembra mirata alla riduzione del costo del lavoro mediante la riduzione del cuneo fiscale. Con ciò è dubbio che si dia alle imprese quella spinta all’innovazione che, per esempio, non è venuta dall’incremento dei profitti ottenuto nel corso di questi anni. Si può perfino supporre che essa favorisca, in ultima analisi, la pigrizia imprenditoriale.
• Infine, le politiche di liberalizzazione e privatizzazione richiamate nel testo del documento, quale strumento per promuovere l’apertura del mercato, la crescita della produttività e la riduzione delle tariffe, si prestano a numerose critiche, alla luce delle esperienze fatte fino ad ora e non solo per gli scarsi benefici ottenuti dagli utenti ma anche per l’indebolimento che ne è derivato al settore pubblico.
Questi limiti si riverberano sulle politiche per il Mezzogiorno.
Queste, nel DPEF, si traducono in interventi nel campo della conoscenza, della liberalizzazione dei servizi, della realizzazione di esternalità per il sistema delle imprese, dell’integrazione delle economie locali, del risanamento sociale e della sicurezza. Interventi, ben inteso, positivi ma che perseguono orientamenti di politica dell’offerta già sperimentati con scarsi successi perché incapaci di intervenire sul piano delle risorse manageriali come l’esito fallimentare dei patti territoriali e dei contratti d’area sta a dimostrare.
Alla luce di tali osservazioni, anche sul terreno delle politiche per lo sviluppo è necessario apportare delle correzione al DPEF.
Nella fattispecie, occorrerebbe puntare su:
a) Una maggiore selettività dell’intervento a favore delle imprese per alimentare comportamenti virtuosi, sollecitando strategie innovative;
b) L’utilizzo delle partecipazioni residue nei settori industriali per promuovere la diversificazione produttiva e sostenere la reindustrializzazione;
c) La riqualificazione delle aziende pubbliche nel settore dei servizi, senza procedere a ulteriori privatizzazioni;
d) L’utilizzo al meglio delle risorse comunitarie per attivare nel Mezzogiorno progetti di sviluppo a tecnologia avanzata, facendo di quell’area il punto di riferimento dei paesi gravitanti sul Mediterraneo.