Intervento di Fosco Giannini sulla proroga del rifinanziamento delle missioni internazionali

Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo,

scriveva Sigmund Freud che l’attitudine degli esseri umani all’abitudine è, insieme, la loro forza e la loro debolezza: resistono a tutto e contemporaneamente si abituano all’orrore, alla subordinazione e alla guerra.

Anche dalla guerra, dunque, possiamo proteggerci con il manto dell’abitudine, e

mentre i nostri cacciabombardieri distruggono Belgrado e la Zastava, disseminano uranio impoverito sulla terra, sui fiumi e sulla popolazione della Jugoslavia; mentre i nostri soldati combattono, muoiono e uccidono per una guerra americana in Iraq e in Afghanistan, possiamo continuare cristianamente ad avere il cuore sereno ed evocare la pace.

Siamo un Paese in guerra, da ormai molti anni e con diversi fronti aperti, ma l’abitudine ce lo fa dimenticare.

Ma la guerra è un male che produce altro male e semina buio attorno a noi e dentro di noi. E senza che ce ne accorgiamo cambia la nostra vita, cambia il nostro popolo, il nostro Paese.

Un paese in guerra produce – storicamente, “necessariamente” – due effetti tra loro speculari: da una parte la rimozione , la censura e persino la menzogna organizzata rispetto ai motivi reali della guerra; dall’altra la militarizzazione interna allo stesso paese in guerra: il fronte esterno e il fronte interno, entrambi da presidiare, con la medesima durezza e intensità.

Accade così, anche oggi, in Italia. Dopo sei anni dall’ attacco americano contro l’Afghanistan quasi nessuno ne ricorda più il motivo scatenante proclamato : la cattura di Bin Laden. Ma poiché non si può invadere un Paese, bombardarlo per sei lunghi anni, distruggerlo per lungo e per largo, ridurre un popolo alla fame e ammazzare oltre 100 mila persone, di cui l’80% civili, solo per catturare un uomo, la cultura dominante ha dovuto diffondere, rimuovendo il primo, un nuovo messaggio, più realistico : non bombardiamo per catturare Bin Laden ma contro i talebani. Sono dunque i talebani il motivo reale della guerra ?

Nulla è tanto ballerino quanto i “principi” dell’imperialismo: era Benedetto Croce, alla fine del seconda guerra mondiale, a chiedere ai laburisti inglesi di non appoggiare più il franchismo spagnolo, dopo la caduta di Hitler. Ed erano i laburisti a rispondergli, per proteggere il fascismo spagnolo, che si doveva rispettare ovunque e sempre il principio sacro dell’autodeterminazione dei popoli e dei governi.

Gli “stessi” laburisti – non solo inglesi – che oggi, al servizio degli Usa, sostengono l’intervento in Afghanistan.

Ma la verità sull’Afghanistan, la verità censurata, è da un’altra parte.

La verità è che il controllo militare dell’Afghanistan, per il Pentagono, è parte preponderante e teorizzata del progetto generale di guerra infinita e permanente, dell’estensione della NATO nel cuore dell’Asia, ai confini di quell’ Iran “insubordinato” e da normalizzare militarmente; ai confini del Pakistan e soprattutto della Cina, ormai primo e strategico avversario degli Usa.

La verità è che la missione Isaf, già nell’agosto del 2003, passa sotto il comando NATO. E dunque sotto la catena di comando USA.

Il punto è che cresce prepotentemente la forza economica, politica e militare del polo eurasiatico – Cina, Russia, India -, una crescita che cambia i rapporti di forza nel mondo ed evoca un futuro di profondo declino per l’impero americano.

Ma gli USA non ci stanno, non possono assistere in silenzio alla propria diminuizione.

E rispondono come un animale ferito: guerra, sterminio, occupazione manu militari delle aree geopoliticamente strategiche, accumulazione di forze militari ai confini dei paesi, come la Cina, che potrebbero in un domani vicino divenire dominanti. Un terrore ed una rabbia, da parte degli USA, che spiegano molte cose: la determinazione alla guerra, l’ordine secco ai paesi sudditi di partecipare ai conflitti, persino l’evocazione dell’uso della bomba atomica.

Sono già otto le basi NATO costruite o in costruzione in Afghanistan e dovrebbero diventare venti. Per organizzare tanta capacità di fuoco e controllo egemonico, in quell’area strategica, gli Usa possono ben mettere, nel bilancio di guerra, un genocidio del popolo afgano, centinaia e anche migliaia di vittime della coalizione occupante e la possibilità di aprire una crisi di inquietanti proporzioni in quell’area del mondo così delicata.

Ma oltre che costruire una falsa coscienza di massa un paese in guerra ha bisogno di aprire e controllare anche un fronte interno, militarizzando la società, la politica , i partiti. E cos’ altro è, se non una forma della militarizzazione, questo coro filoamericano, quest’ inquietante voce univoca della quasi totalità dell’ apparato mediatico italiano volto a sorreggere e ad ampliare l’intervento bellico in Afghanistan? Questo impressionante tentativo di demonizzare il dissenso sociale e politico, questo oscuro e pericoloso intento di far abbassare la testa ai deputati e ai senatori?

E anche: che cos’è, se non un vero e proprio trasferimento interno del fronte militare, la minaccia e la pratica dell’emarginazione e dell’espulsione dei dissidenti, dei pacifisti dai loro partiti ?

Un giorno, forse non molto lontano, quando la guerra si estenderà in tutto l’Afghanistan, quando i talebani si spingeranno sino ad Herat e Kabul, quando i nostri stessi soldati saranno costretti a uccidere e morire, la sinistra potrebbe pentirsi di queste odierne scelte. Ma sarà troppo tardi. Il sangue sarà già scorso, le madri dei nostri soldati, come già accadde nello scorso luglio, avranno già pianto e accusato il governo. E il nostro popolo, il popolo della pace, il movimento operaio complessivo, ci avrà già abbandonato.

Perché questo è il punto centrale: ci hanno dato il loro voto per cambiare, per avere il coraggio di essere – almeno un po’ – autonomi dagli USA e dalla NATO, dal Vaticano e dalla Confindustria, dai padroni e dall’Europa di Maastricht. Se non ci riusciamo, se deludiamo di nuovo le speranze e le aspettative del nostro popolo, del movimento per la pace, dei lavoratori, allora si che apriamo le porte al ritorno e alla vittoria delle destre.

Ci dicono: c’è la destra in agguato.

Ed è vero: siamo di fronte ad una destra arrogante, padronale, antioperaia, guerrafondaia, serva degli USA, razzista e maschilista; la destra più pericolosa ed eversiva d’Europa.

Ho di fronte a me, in linea d’aria, il senatore Storace, che non per colpa sua, ma già nel nome, ricorda un oscuro passato.

E come un tempo mi piacerebbe dire a Storace, e glielo dico, “ no pasaran”, non passerete, non tornerete. Non tornerete certo con un mio voto sbagliato!

E dicendo questo mi sento parte della classe operaia, del suo spirito, della sua materialità.

Ma dico alla sinistra, alla mia coalizione: non consegnatelo voi il governo alle destre, con politiche sbagliate che ci allontanano dal nostro popolo.

Le cose bisogna cambiarle, dall’Afghanistan bisogna ritirarsi, dagli USA e dalla NATO bisogna liberarsi, da un Papato che metterebbe di nuovo al rogo Giordano Bruno bisogna emanciparsi. Bisogna frenare questo imponente e inquietante processo di militarizzazione del nostro Paese e dedicarsi molto di più alle pensioni, ai salari, alla ricostruzione dello stato sociale.

E anche dicendo questo so di essere un tutt’uno col movimento operaio, col suo sentire.
Sono sempre più contrario alla guerra in Afghanistan, ma voterò secondo le indicazione del mio Partito, per non favorire le destre, per non provocare uno spostamento neocentrista e per evitare di essere emarginato ed espulso dalla battaglia politica futura.

Non voterò in modo sbagliato. Ma chiedo al governo Prodi di non farmi sbagliare votandolo.